Gli studenti raccontano
il pugile che sfidò le Ss

Gli adolescenti diventano protagonisti e salgono sul palco per raccontare la «Ballata unica per un campione. La vera storia di Leone Efrati, il pugile che sfidò le SS».

Allestito e interpretato dagli studenti della terza LA e della quinta LB dell’Istituto di istruzione superiore «Valle Seriana» di Gazzaniga, guidati dalla docente di religione Elisabetta Cosseddu, vede alla regia Umberto Zanoletti, del Teatro Minimo di Bergamo. Sarà in scena mercoledì 27 gennaio alle 20,30 al cineteatro San Filippo Neri.

«Una quarantina di ragazzi della scuola, che quest’anno ha dato vita al gruppo teatrale “Peso Piuma” – spiega la docente Cosseddu, che ha scritto il copione dello spettacolo –. Tutti fanno qualcosa: chi il macchinista, chi lo scenografo, altri il costumista o l’addetto alle luci, e poi gli attori. Uno spettacolo che vedrà, fra il pubblico in sala, i nipoti del pugile Leone Efrati, assassinato il 16 aprile 1944, ad Auschwitz, mentre i figli, che vivono in Israele, lo vedranno via Skype».

Lo spettacolo rientra all’interno dell’esperimento culturale che cerca di unire esperti, istituzioni, associazioni e volontariato in un modo inedito, facendo leva sulla sensibilità dimostrata da alcuni adolescenti verso tematiche di attualità come la legalità, la giustizia, l’interculturalità e di cittadinanza attiva, e sul lavoro in rete tra docenti e studenti appartenenti a diversi istituti della Valle Seriana. Una sperimentazione dalla quale è scaturita la mostra tematica dal titolo «Restiamo umani. Schegge di bene nella tempesta del male», dedicata ad alcune figure di Giusti che seppero opporsi ai crimini e alla totale violazione dei diritti umani perpetrati dai nazifascisti contro la popolazione ebraica nella Seconda guerra mondiale, ma anche ad altri esempi di resistenza civile e di impegno personale contro la «banalità del male», nel corso di altri terribili avvenimenti, quali il genocidio degli Armeni, le purghe staliniane in Ucraina, gli scontri etnici nell’ex-Jugoslavia e in Rwanda, fino ai recenti fatti di Siria.

Un progetto ideato e promosso da alcuni adolescenti che frequentano il primo anno di scuola superiore in vari istituti bergamaschi (ex-studenti della scuola media «Enea Talpino» di Nembro), che si riconoscono nel gruppo «Nonspezziamoilfilo: giovani cittadini attivi, NSF» di Nembro, condiviso dal Comune di Nembro, biblioteca e oratorio San Filippo Neri, con la collaborazione de «La Foresta dei Giusti» di Milano (Gariwo) e il «Tavolo della Pace» di Bergamo.

L’inaugurazione della mostra è in programma mercoledì 27 gennaio alle 17,30, nella Sala Rovere della biblioteca di Nembro, e sarà visitabile fino a sabato 6 febbraio, durante gli orari di apertura.

«Galeotta è stata la gita di classe della terza B e della terza E della scuola media «Enea Talpino» di Nembro, svoltasi nella primavera 2015 a Nonantola (Modena) – spiega la professoressa Annalisa Zaccarelli, l’anno scorso docente di italiano alla scuola media e quest’anno docente di letteratura italiana all’Isiss di Gazzaniga –. Nell’ambito delle iniziative scolastiche sulla “Giornata della Memoria”, siamo andati a Nonantola per incontrare una comunità che, durante la Seconda guerra mondiale, aveva aiutato ragazzi ebrei a sfuggire alle rappresaglie e alle deportazioni nei campi di sterminio in Germania. Durante la Shoah sono morti più di 5 milioni di ebrei. Ma la comunità di Nonantola, quasi tutte le famiglie del paese, aveva salvato 72 ragazzini ebrei, provenienti da Germania, Austria e Jugoslavia, che avevano trovato rifugio in quel paese, a Villa Emma, nel mentre i nazifascisti rastrellavano l’Appennino Tosco-Emiliano, alla ricerca di ebrei da inviare nei campi di sterminio. Qui, i ragazzi hanno ascoltato la testimonianza di due anziani del paese, che hanno raccontato loro come erano riusciti a salvarli, nascondendoli nelle loro case e facendoli sembrare loro figli. Una bella storia, che valeva la pena offrire ai ragazzi. Una storia che li ha colpiti a tal punto che hanno promesso a quei due anziani che non avrebbero dimenticato il loro racconto, in altre parole non avrebbero spezzato il filo, quello della memoria: ecco, spiegato il nome del gruppo».

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