Negli anni Settanta, mentre la ’ndrangheta calabrese estende silenziosamente il proprio dominio anche nel Nord Italia, Antonio Zagari (Gabriel Montesi), poco più che ventenne, cresce come un’ombra dentro l’impero criminale del padre, Giacomo Zagari (Vinicio Marchioni), boss trapiantato in Lombardia sin dagli anni Cinquanta. La sua vita è un equilibrio fragile tra la brutalità paterna e il silenzio spezzato della madre: un ambiente in cui rapine, sequestri e omicidi non sono eccezioni, ma il linguaggio naturale del potere. Antonio, destinato a seguirne le orme, attraversa l’adolescenza obbedendo a regole mai dichiarate ma inflessibili. Finché un delitto più insopportabile degli altri incrina la corazza che lo circonda e lo costringe ad ascoltare, forse per la prima volta, la propria coscienza. A metà degli anni Settanta finisce in carcere. È lì, in una cella spoglia, che scopre qualcosa che non avrebbe mai immaginato: la scrittura. Nei quaderni che riempie ogni giorno, Antonio mette ordine nei frammenti della sua esistenza—il ricordo del fratello Enzo, l’amore per Angela (Selene Caramazza), la nostalgia del Varesotto che ricorda come un paradiso bugiardo. Scrive della sua famiglia, della violenza che ha respirato, del sangue versato: ogni parola una ferita aperta, ogni frase un tentativo di salvarsi. A poco a poco comprende che quella vita, costruita sul dominio, non gli appartiene. Uccidere non è più una prova di fedeltà, ma un peso intollerabile che il suo corpo rifiuta. E mentre intorno a lui i suoi coetanei scendono in piazza per rivendicare un mondo nuovo, Antonio ingaggia la sua rivoluzione intima: trovare il coraggio di opporsi al destino criminale impostogli dalla famiglia. La sua ribellione è solitaria e rischiosa. Scegliere una via lontana dalla malavita significa voltare le spalle al padre, alla propria storia e a un sistema che non perdona i tradimenti. Ma significa anche — per la prima volta — scegliere sé stesso, sapendo che quella decisione lo renderà un uomo libero… e un uomo braccato per sempre.