A Tubinga esploro
i segreti del cervello

«Viste le numerose richieste, è stata un’impresa trovare una casa qui a Tubinga, ma alla fine ho vinto: et voilà» racconta con sorriso soddisfatto la giovane scienziata di Dalmine, Margherita Carboni.

La città tedesca al centro dell’Europa è infatti meta ambita di studenti e ricercatori di tutto il mondo, vantando un’antica università fondata nel 1477 e centri di ricerca che hanno prodotto fra i più importanti studi di medicina, scienze naturali e umane; qui ad esempio, è stato diagnosticato per la prima volta il morbo di Alzheimer. Per 10 mesi Margherita, 24 anni, ha fatto la pendolare da Stoccarda, mentre da gennaio le basta un autobus di pochi minuti per raggiungere il Centro di neuroscienze (Meg center) e la Clinica di psichiatria dove lavora come assistente di ricerca.

Come spiegare a un profano che cosa sono le neuroscienze?

«Parlare di neuroscienze è trattare una materia particolarmente nuova che tenta di studiare una scatola nera come il cervello nei modi più innovativi possibili. Si utilizzano macchinari all’avanguardia e servono grandi investimenti. La disciplina è nata in America nella seconda metà degli anni ‘70 e sono stati fatti passi da gigante soprattutto in Francia e Germania».

Come si accede a questo tipo di studi in Italia?

«Se in Europa ci si può iscrivere a Biologia e Ingegneria, nel nostro Paese bisogna passare obbligatoriamente per Psicologia, e i centri di studio si contano sulle dita di una mano. Così ho frequentato il corso triennale in Scienze e tecniche psicologiche a Pavia durante il quale, vincendo una borsa di studio, dal febbraio 2014 ho svolto un tirocinio di cinque mesi al Centro di ricerca di neuroscienze all’ospedale di Lione».

Che tipo di ricerca hai svolto?

«In Francia ho svolto una ricerca tramite una particolare metodica chiamata Stimolazione magnetica transcranica (Tms): è un macchinario di stimolazione utile nello studio delle relazioni fra aree cerebrali, processi cognitivi e processi comportamentali attraverso il quale si può stabilire il momento in cui una precisa regione cerebrale contribuisce a un dato compito. Vedere come il cervello rimodula i suoi meccanismi permette di capire come si adatta alle nuove condizioni e come avviene la plasticità neuronale».

Quali i passaggi che ti hanno portato dalla Francia alla Germania?

«A Lione ho conosciuto alcuni professori dell’Università di Trento dove poi mi sono iscritta alla Magistrale in Neuroscienze. Su loro consiglio ho partecipato all’assegnazione di un’altra borsa di studio e dal marzo dello scorso anno ho iniziato a lavorare nel Centro di ricerca di Tubinga. Dovevo finire a luglio: non solo mi hanno rinnovato il contratto di assistente di ricerca, ma proprio in questi giorni mi è stato proposto un dottorato di quattro anni da iniziare subito dopo la laurea. Ho accettato con entusiasmo».

Che progetti operativi stai seguendo attualmente?

«Ne sto seguendo diversi. Faccio ricerca applicata lavorando con i pazienti nel reparto di Psichiatria e svolgo ricerca psico-farmacologica al centro Meg tramite utilizzo di magnetoencefalografia (Meg) per trovare nuovi interventi riabilitativi; praticamente, in una camera schermata, attraverso materiali superconduttori, si misurano i piccoli campi magnetici prodotti dai neuroni: verificandone l’oscillazione, si va a localizzare l’area del cervello che si è attivata in quel momento. Faccio parte di due team internazionali e siamo in continua interazione: è molto stimolante, si impara ogni giorno qualcosa di nuovo. La lingua corrente è l’inglese e con il tedesco va così così... quando avrò finito gli esami ho intenzione di fare un corso di perfezionamento».

Se dovessi fare un parallelo con la ricerca in questo ambito in Italia?

«Qui il trinomio giovani, ricerca e innovazione è super finanziato: ci sono grandi fondi statali ed europei e centri di ricerca importantissimi come il Max Planck Institute, il Fortune Institute e il Cin (Centre for integrative neuroscience). Inoltre, non esiste quel rapporto gerarchico tra ricercatori, dottorandi e professori percepito in Italia; con i miei docenti responsabili Cristoph Braun e Surjo Soekadar c’è un continuo scambio di informazioni e confronti che definirei senza dubbio “alla pari”. Li reputo due persone straordinarie per la passione che mettono nel lavoro».

Come è organizzato il tuo tempo?

«Lavoro da lunedì a venerdì: il tempo è scandito dagli esperimenti, inoltre i pazienti non vanno mai in vacanza. Ultimamente a fine giornata studio. Mancano due esami alla fine della Magistrale; ho seguito le lezioni da fuori sede attraverso Internet».

E il tenore della vita quotidiana?

«La regione del Baden-Württemberg, il cui nome deriva dall’enorme volume di acque termali, ha un Pil elevato e l’alta qualità della vita si tocca davvero con mano. Tubinga è abbastanza piccola, verdissima e ha una posizione strategica. Le cose da fare non mancano: concerti di musica classica, conferenze di neuroscienze, le famose terme, visite ai castelli. Ha un’età media tra le più basse – 39 anni – ed è a misura di studente: ce ne sono quasi 30 mila sugli 85 mila abitanti totali. Abbiamo diverse agevolazioni; un taxi ad esempio costa tre euro».

Non sembra la rigida città tedesca...

«È vero, in giro si sente parlare soprattutto inglese, e viene sfatato lo stereotipo del tipico tedesco “sulle sue”. È una realtà a parte. I veri tedeschi qui non esistono, diventano europei».

Cosa ti manca del tuo Paese?

«Mi mancano ovviamente i miei genitori. A parte questo, mi ci trovo benissimo. Poi il caffè e la pizza; la mensa dell’ospedale è uguale in tutto il mondo e quando esco mangio internazionale, mi piace variare».

Cosa auspichi nel tuo immediato futuro?

«Il mio obiettivo è rimanere qui in Germania per il dottorato. In questi mesi conto di laurearmi e poi focalizzarmi a pieno sulla ricerca. Per ora il mio futuro lo vedo in Germania e lontano dall’Italia, ma nella vita mai dire mai».

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