«Da Albino porto
la moda alle Bahamas»

Vende l’alta moda italiana, e non solo, alle Bahamas. Mattia Sala, 31 anni, partito tre anni fa da Albino con la fidanzata - oggi sua moglie - e il loro bulldog francese, gestisce le boutique di Versace, Ferragamo, Hublto, Chopard, Richard Mille, Safilo e Luxottica dell’Atlantis Resort a Paradise Island.

La meta del turismo di alta gamma con all’interno alberghi, ristoranti, negozi, un bellissimo parco acquatico, campo da golf, casinò, teatro e intrattenimenti di ogni genere. Con una laurea in Legge alla Bocconi che si è pagato facendo il cameriere Mattia, dopo qualche mese di praticantato, capisce che la giurisprudenza non è la sua strada.

«Ho evitato accuratamente le proposte di stage non retribuito che normalmente cadono a pioggia sui neo laureati - spiega -. Semplicemente non potevo permettermelo perché avevo bisogno di guadagnare e all’inizio ho fatto qualsiasi tipo di lavoro, spaziando dal campo immobiliare a quello turistico. Nel 2011 sono stato assunto come manager di Abercrombie & Fitch nel centro di Milano, il negozio di tendenza del brand americano che ha fatto parlare di sé perché i commessi erano modelli e modelle in costume da bagno. Poi è arrivata la proposta dalla Hillside Investment Co. per le Bahamas e parlare quattro lingue mi ha aiutato. Ambra, mia moglie, ha lasciato il suo lavoro per seguirmi; ci siamo sposati sulla spiaggia e adesso aspettiamo una bimba, che arriverà tra pochi giorni».

E continua: «A Bergamo lei lavorava come manager dei negozi della catena H&M e mi è stata accanto in questa avventura. Qui però il sistema è un po’ all’americana e se non hai un’azienda che ti sponsorizza non puoi avere il visto lavorativo. L’inizio non è stato semplice, passare da Milano a un’isola molto piccola con mentalità e abitudini completamente diverse ha richiesto del tempo. Lì la vita segue il ciclo del sole, i bahamensi si alzano all’alba e al tramonto chiude tutto. Restano aperti solo i negozi e i ristoranti del resort. Rispetto al nostro standard il loro impegno è labile, non sono un popolo ambizioso. A chi è nato e vissuto sull’isola mancano stimoli che invece trovano i giovani che hanno la fortuna di studiare negli Stati Uniti e di viaggiare perché quando tornano sull’isola riescono a far fruttare la loro esperienza. La percentuale di disoccupazione è comunque bassa e non ci sono tasse sullo stipendio, che in media è il doppio di quello italiano e finisce tutto nelle tasche del lavoratore».

Ogni due mesi circa Mattia lascia i Caraibi per tornare in Europa e scegliere le collezioni per le sue boutique. «Sono tornato da poco a Milano per scegliere la collezione di Versace. È solo per qualche giorno, ma riesco sempre a passare a salutare la mia famiglia e a procurarmi del buon cibo da portare alle Bahamas. Porto salami nostrani, formaggi, tutto quello che riesco ed è quasi una questione di sopravvivenza – sorride – perché, contrariamente a quello che pensano tutti, alle Bahamas si vive di fast food e il 42% delle donne e il 28% degli uomini soffre di obesità. Costa di più una busta di insalata che un hamburger. Devo dire che anche i miei capi bahamensi, in visita a Bergamo, sono rimasti impressionati dalla cucina e dai nostri casoncelli».

«Prima di lasciare l’Italia temevo la considerazione che avrei avuto da straniero – racconta Mattia –, invece quello che ho trovato è stata una rivelazione: la verità è che conquisto la simpatia dei miei clienti proprio perché sono italiano. Al di là delle battute sulle figure di spicco della nostra politica, la stima nei confronti dell’Italia è altissima. Molti di loro sono italo-americani o comunque persone di una certa classe sociale che hanno avuto la fortuna di conoscere l’Italia. Sanno benissimo che abbiamo una cultura, un know-how e una storia che tutti si sognano di avere. Noi però non sappiamo valorizzare le nostre risorse perché siamo persi in un sistema che non funziona, spesso basato sul nepotismo e non sulla meritocrazia. Sono convinto che per quello che abbiamo potremmo essere una delle tre nazioni più forti al mondo e invece siamo relegati a fanalino di coda. In più sono bergamasco, la categoria dei grandi lavoratori. Lavoriamo molto e bene e il nostro spirito di sacrificio è innato».

Mattia ha molte idee e tutte chiarissime: «Credo molto nella famiglia e non ho mai pensato di sacrificarla per il lavoro perché il mio obiettivo è avere entrambe le cose. In questo momento mia moglie sente la necessità di avere accanto i suoi affetti e la capisco benissimo; per questo abbiamo deciso di rinunciare alla proposta di rinnovo del contratto che è già sul tavolo da tempo per tornare a Bergamo. Non ho ancora cercato lavoro e l’incertezza mi spaventa perché so bene qual è la situazione e so che sarà praticamente impossibile avere il trattamento economico che mi garantiscono qui. I nostri genitori sono ovviamente felici di starci vicino in un momento così importante, ma vogliono il meglio per noi e sanno che in Italia è difficile ottenerlo. L’idea è di rimanere per un anno, poi credo che ripartiremo perché, onestamente, le occasioni vere sono da tutt’altra parte».

Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con Brembo S.p.A. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per sei mesi l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected].

© RIPRODUZIONE RISERVATA