Dalla Dhl di Orio
vola a Singapore

Ora o mai più. È quanto si è detto Andrea Bonanomi lasciando un lavoro sicuro e una vita tranquilla in provincia, per fare quello che definisce un «salto nel buio in Oriente». Da circa cinque mesi il giovane di Ponte San Pietro vive a Singapore, dove lavora come responsabile nell’area «qualità del servizio» per l’ufficio globale di una azienda internazionale di trasporti e logistica Dhl Express Pte Ltd, che fa capo a Deutsche Post Dhl Group.

Con che spirito ti sei detto cambio mondo?

«Ho vissuto un sentimento forse comune a tanti giovani della mia generazione: anche se a casa e al lavoro le cose andavano bene, vedo l’Italia come un Paese un po’ statico. Alla soglia dei trent’anni ho sentito il bisogno di muovermi, stimolare la mia curiosità andando a scoprire una realtà “altra” per crescere come persona, cercando in autonomia di abbattere limiti personali e qualche mio pregiudizio sul mondo».

Quali sono state le tappe del tuo passaggio a Singapore?

«Lavoravo dal 2010 per l’azienda di logistica e trasporti “Dhl Express Italy”, un’azienda di logistica e trasporti all’Hub dell’aeroporto di Orio al Serio, occupandomi della valutazione performance del servizio spedizioni. Mi sono imbattuto in una posizione simile, ma dallo stampo più direttivo, con sede a Singapore, realtà che gestisce livelli di traffico e volumi per l’intero globo. I dubbi non sono mancati: un po’ per il passaggio a una grande metropoli e perché la cultura orientale era per me una cosa inesplorata. Mi sono lanciato sulla carrozza di coda dell’ultimo treno in partenza. Dopo una lunga fase di colloqui telematici, il passaggio è stato veloce: a poche ore dal mio ultimo giorno a Orio ero in ufficio a Singapore. Le due realtà, pur appartenendo allo stesso gruppo, sono distinte. Mi è andata bene così: questo distacco, anche dal punto di vista contrattuale, mi permette di vivere la nuova esperienza nella sua totalità».

Come è cambiato il tuo lavoro?

«L’ambito è lo stesso, il suo dispiegarsi e le responsabilità sono diverse. Dopo un primo periodo di monitoraggio, ora sto curando un sistema di performance per migliorare il processo logistico delle varie macro-aree nel mondo. Qui non siamo al tempo di timbrature, straordinari e permessi. Siamo al tempo dei fatti: si portano a casa i risultati con orari flessibili e non vincolanti, dove ognuno si organizza al meglio sul proprio progetto. È un modello organizzativo con ampie fasi pro-attive che mi coinvolge e responsabilizza: gestire e far crescere sia in modo indipendente che in team una “creatura tutta mia” è una cosa fantastica, così come la vista sulla baia che si ammira da questo open-space all’undicesimo piano di un grattacielo».

Come è stato l’approccio con la città e i suoi abitanti?

«Direi positivo, con alcune chiare difficoltà iniziali. In primis per la lingua: non è facile sintonizzarti sulla parlata “singlish”, una miscela tra mandarino e inglese con cadenze, ritmiche e termini cinesi. Singapore è come un grande interporto dove è fondamentale sapersi rapportare con colleghi di diverse culture ed etnie. All’inizio, goffamente, ti comporti come hai sempre fatto, senza sapere che una pacca sulla spalla per un collega giapponese è un gesto del tutto inaspettato, o che per un indiano è bizzarro se al suo interlocutore capita di toccarsi con la mano il viso, perché è considerato sacro. Fortunatamente, sulle relazioni interpersonali, mi sono documentato subito per frenare questi istintivi “gesti italici”, così da avvicinarmi il più presto possibile agli usi e i modi praticati qui. Sono in una fase di avvicinamento agli universi d’oriente. Le persone che mi circondano dimostrano grande disponibilità e rispetto. Ci si approccia con molta umiltà, un valore inestimabile per la società umana».

Difficile trovare un alloggio in una delle aree più densamente popolate del pianeta?

«Bisogna scordarsi la casa vecchio stampo con un angolo di giardino. La città è piena di zone verdi, ma in sostanza ci sono solo palazzi a disposizione. Dopo una sistemazione di un mese fornita dall’azienda, ho un po’ sudato per trovare casa nella costa-est della città, in un tranquillo quartiere residenziale a 10 km dal lavoro dove vivono anche europei. È il giusto compromesso. Piano piano la sto riempiendo e la sento sempre più mia. La città è popolosa e ben organizzata: sta integrando al meglio tecnologia ed ecologia, ha vedute e architetture incredibili e offre una certa facilità di accesso per fare impresa. La parte più difficile è la fissità di questo clima caldo-umido. Non ci sono le stagioni. Mi mancheranno il mutare delle foglie e la coperta invernale».

Quale è stata in questi mesi l’esperienza che ti ha sorpreso di più?

«Ho avuto l’opportunità di visitare musei e gallerie, magnifici giardini botanici e templi, assistendo a performance teatrali e spettacoli musicali. Ad aprile ho vissuto una cosa unica: nel periodo in cui il Buddha muore per rinascere bambino, in città si svolge un rito per far transitare il ciclo di vita. Bisogna inginocchiarsi ogni tre passi e fare una sorta di inchino lungo una vasta area di 10 templi con in sottofondo una cantilena buddista. Ho partecipato alla funzione notturna delle 2,30 che è durata tre ore insieme a migliaia di persone. Difficile descriverne le sensazioni, ma sento di essermi spinto con vitalità verso il mio limite mentale e fisico».

I culti praticati diffusamente a Singapore sono numerosi (buddismo, cristianesimo, islam, taoismo, induismo). Come convivono le differenze?

«Per via degli attacchi che sconvolgono l’Europa negli ultimi anni, a volte il terrorismo è stato associato in modo erroneo e sistematico all’intera religione islamica. Posso dire che Singapore è la perfetta città dello spirito senza tempo: il filo conduttore delle varie religioni è che le ambizioni temporali qua “valgono zero” e si vive pienamente l’aspetto spirituale. I diversi culti convivono pacificamente».

Alla luce dei tuoi primi mesi all’estero, come vedi l’Italia da lì?

«Pensavo fosse più facile dire “arrivederci” e iniziare una nuova vita. Anche se adesso la mia casa è Singapore, ho capito l’importanza di mantenere sempre dei riferimenti nella zona di Bergamo: la vita è una miscela di luoghi ed esperienze preziose da saper conservare con cura. A luglio ho respirato un po’ di aria italiana, durante un evento sportivo in città, facendo due tiri a calcio con il principe Milito. Sempre a proposito di “figure regali” e di legami orobici, mi sono portato via “Il piccolo principe” in bergamasco, un regalo dei vecchi colleghi che mi è stato donato in vista della partenza. Ora, dopo una breve vacanza estiva a Ponte San Pietro dove ho riabbracciato famiglia, amici e mangiato tutto l’introvabile a Singapore, sono pronto per l’esperienza internazionale».

Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della comunità bergamasca onlus. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per sei mesi l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected]

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