«Il mio sogno il Giappone
A Tokyo da Valentino»

Ventinove anni e una vita fuori casa già dai diciotto. Andrea Elio Bianchi dal Giappone pensa parecchio alla sua Bergamo, ma non tornerebbe indietro ora che ha realizzato il suo sogno: vivere a Tokyo dove lavora nella moda, assunto da poco dalla maison Valentino dove si occupa di analisi del mercato e della distribuzione, oltre che dei rapporti con l’Italia.

Nato a Scanzorosciate, liceo classico al Sarpi di Bergamo, i suoi modi di fare sono eleganti ed educati. Un ragazzo di altri tempi, verrebbe da pensare, nel suo fare composto e con quel modo di comunicare garbato e pacato che fa proprio pensare al comportamento tipico dei giapponesi. Ride Andrea ed effettivamente conferma: «Se non fosse per i tratti somatici, c’è chi mi dice che sono più giapponese che italiano. Del resto comunicare con i miei colleghi comporta un rispetto molto rigido delle regole e in Giappone c’è un’attenzione alle gerarchie sociali e professionali da cui non si transige. Poi nel tempo libero le regole sono più flessibili». Per fortuna, viene da dire, per un giovane occidentale che da sempre voleva andare a Tokyo. «Ho sempre desiderato viaggiare: andare a studiare Lingue a Venezia a 18 anni è stato un ottimo trampolino di lancio» racconta.

È qui che Andrea inizia a studiare il giapponese e la cultura del Sol Levante: «A 22 anni sono atterrato a Tokyo per tre mesi di studio. Un’esperienza che mi ha aperto la mente: è in quell’occasione che ho capito che volevo stare in Giappone». Ma Andrea torna a Venezia: «Mi sono iscritto alla laurea specialistica con l’intento ti fare un anno di scambio interculturale . È finita che ho frequentato un anno di specialistica a Venezia e uno a Tokyo che non ho più lasciato. In mezzo anche l’Erasmus a Parigi» sorride.

Ma Tokyo era il traguardo: «E ce l’ho fatta. Ero lì quando c’è stato il terremoto, un’esperienza che non dimenticherò mai». Era appena tornato a casa dall’università: «Se vivi in Giappone sei abituato alle scosse, ma quella dell’11 marzo 2011 era troppo lunga, ho capito subito che stava succedendo qualcosa di strano. Ricordo ancora il rumore dei cavi elettrici per le strade e mi ha choccato sapere da Skype che anche un amico molto lontano da Tokyo aveva avvertito il sisma». E poi la minaccia di qualche danno alle centrali nucleari, all’acqua contaminata, le malattie. La famiglia, preoccupata, gli chiede di rientrare in Italia, ma dopo pochi giorni a Bergamo, Andrea decide di ripartire.

«Ho convissuto con questo timore, troppo il desiderio di proseguire con la mia formazione e di vivere a Tokyo: proprio in quelle settimane è arrivata la svolta della mia vita». Andrea incontra per caso un amico giapponese: «Ha iniziato a raccontarmi degli sbocchi professionali per un giovane italiano a Tokyo. Bisogna considerare che qui fin da ragazzini il futuro è programmato, in una società molto meritocratica e molto attenta ai percorsi formativi. Per questo mio amico era assurdo che io, poco più che ventenne, non avessi ancora deciso cosa volessi fare da “grande”. Io sapevo solo che volevo stare a Tokyo, ben integrato nel tessuto sociale».

Da qui arriva l’occasione di entrare nel mondo della moda: «Avevo 23 anni e la sede giapponese di Roberto Cavalli cercava un collaboratore italiano: mi dovevo occupare della distribuzione e fare da referente nei rapporti Italia-Giappone». Andrea resta da Cavalli due anni: «Un ambiente piccolo e familiare dove ho capito il mondo del lavoro in una società come quella giapponese». Dove si lavora sodo e c’è molta attenzione alle regole e al «rispetto formale di esse». Con una riflessione sul sentirsi italiano in Giappone: «Questo Paese ama molto l’Italia e la nostra cultura, così come la nostra arte, la moda e il cibo – spiega –. Io giovane italiano a Tokyo a prima vista sono sempre considerato il “diverso per eccellenza”. La gente ovviamente pensa che io non sappia parlare giapponese, che magari sia un turista, quindi persona con cui sia impossibile comunicare. Nel momento in cui si rende conto che invece, sapendo io parlare giapponese e vivendo qui ormai da anni, sono in grado di comunicare, risulto una persona interessante e “nuova”».

Dal 2014 Andrea è arrivato a Fendi, dove si è occupato di logistica e sempre dei rapporti con l’Italia, «con una novità delle ultime settimane: il 2016 è iniziato con un nuovo lavoro, da Valentino, dove mi occupo di analisi delle vendite per il mercato giapponese e controllo della distribuzione, continuando a seguire i rapporti con l’Italia». Le esperienze precedenti, «e il conoscere la mia nazione così come il Giappone, sono stati fattori importantissimi per questo lavoro. E poi bisogna dirlo: in questo Paese se lavori e se meriti di crescere, puoi salire i gradini professionali e fare carriera». Scontrandosi con alcune regole sociali: «Qui mi manca la capacità italiana di arrangiarsi sempre e comunque e di risolvere i problemi. Il “metodo” giapponese è invece quello di seguire sempre e solo il “manuale”, non pensando mai di testa propria, eseguendo gli ordini del superiore o chiunque gerarchicamente sia sopra di te. Devo ammettere che spesso mi manca l’elasticità mentale degli italiani».

Ma non c’è solo il lavoro per Andrea: «C’è questa metropoli pazzesca che mi affascina e che devo ancora scoprire fino in fondo – sorride –. Ci sono una storia e una cultura millenaria, una lingua incredibile. A Tokyo si vive bene e qui ho tanti amici internazionali, anche italiani. E poi Tokyo, oltre a essere sempre viva giorno e notte, sembra essere una città infinita, con sempre nuovi posti da scoprire ed eventi a cui partecipare. Qui tutto funziona alla perfezione e il livello dei servizi, come quello di sicurezza, è tra i più alti al mondo». E fa effetto quando Andrea racconta della sua casa: «Venti metri quadrati, in un edificio appena costruito. Ma ci sto bene anche se sono nel piccolissimo: diciamo che a mangiare resto spesso fuori, anche se un piatto di spaghetti ogni tanto me lo cucino» sorride e racconta di concerti, mostre e mercati, ma soprattutto molte passeggiate nei parchi di Tokyo: «Amo questo labirinto di vie e di luci, mi sento parte di questo mondo». Con qualche «ma» made in Bergamo: «Mi mancano la natura, le montagne, oltre ovviamente alla famiglia. Viaggiare, conoscere persone di tutto il mondo paradossalmente ci rende ancora più legati ai nostri cari, alle relazioni che non cambiano nonostante la distanza». Manca la misura d’uomo che riesce a ritrovare a casa, quando passeggia sulle colline nella zona di Scanzo. «E poi, quando torno a Bergamo, resto a bocca aperta solo a osservare i vecchi palazzi di Città Alta: quel senso di antico che Tokyo non conosce a livello urbanistico. Quei muri sono il mio passato».

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