È la Rete, bellezza

I toni indignati mi fanno sempre ridere. A prescindere, come avrebbe detto Totò. Questa è la ragione, credo, per cui l’indignazione della stampa per il giochino del «titolo più brutto» tenuto alla renziana Leopolda mi è sembrata sproporzionata e, di conseguenza, ridicola. Più della Leopolda stessa, che in fatto di buffonaggine, sgangherato dinamismo e patetico infantilismo non ha niente da imparare.

Mi sembra però che il mondo dei giornali, messo alla berlina un po’ scioccamente, abbia reagito in modo ancora più sciocco e, se vogliamo, preoccupante. L’idea che non si possono contestare i titoli perché si tratterebbe di un attentato alla libertà di stampa, ovvero del tratto rivelatore di un pericoloso autoritarismo, addirittura un annuncio di incombente regime, denuncia, in realtà, l’allergia alla critica di una categoria, quella dei giornalisti, che di certe idee corporative dovrebbe proprio imparare a fare a meno.

Sbaglierò di grosso e magari domattina Renzi riaprirà il Minculpop e imporrà le veline - non quelle berlusconiane - ai direttori dei giornali, ma a me sembra che, in certi casi, la stampa - incluso, per la sua trascurabile parte, il sottoscritto - dovrebbe scendere dal piedistallo e smettere di pensare che può criticare senza essere criticata.

Temo sia, questa, una scoria mentale del tutto obsoleta, il decomposto rimasuglio di una mentalità nata in tempi in cui la stampa stessa deteneva, in sostanza, il monopolio delle opinioni, o quantomeno della diffusione delle medesime. Oggi, evidentemente, non è più così: i rubinetti della comunicazione sono aperti e ci passa di tutto. Un sacco di robaccia, lo sappiamo bene, ma tant’è: è la Rete, bellezza, e tu non ci puoi fare niente. O meglio, qualche cosa da fare ci sarebbe: comportarsi da gentiluomini, difendere i titoli - se possibile - e, alla buon’ora, rinforzare la nostra credibilità.

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