Facce da leggere

Chi ha provato almeno una volta a disegnare un volto avrà scoperto una cosa straordinaria: le facce sono bellissime.

Non importa che soggetto abbiate scelto, una modella splendente di grazia o un cognato i cui lineamenti sembrano passati alla grattugia: ogni volto è comunque composto da un impasto magico di luci e ombre, di linee dolci e gravi, marcate e sfuggenti. Soprattutto, l’impasto è unico: uno scarto della matita o del pennello e l’illusione è infranta, il volto disegnato non è più “fedele” all’originale, non “cattura” la smorfia particolare, l’espressione tipica e, in ultima analisi, il carattere peculiare che cercavamo nel soggetto.

La bellezza del volto sta forse anche nella sua indecifrabilità. Crediamo di capirlo, ma non è così: la complessa tavolozza di espressioni che gli è concessa non è mai interamente traducibile. Un recente esperimento ha dimostrato che le smorfie corrispondenti agli estremi della gamma emotiva sono tra loro indistinguibili. Posti davanti a foto di persone che esprimevano sul volto estremo dolore o gioia estatica, nessuno è stato in grado di indicare con sicurezza l’emozione giusta. In questi giorni guardiamo la faccia dell’assassino di Nizza, le foto da Facebook e l’istantanea sulla patente, e ci illudiamo di cogliere in esse i prodromi del male, quando con ogni probabilità stiamo fissando il noioso vuoto di un essere molto stupido, ignorante e malato.

Eppure, non rinunciamo mai a leggere i volti, perché in essi crediamo di trovare l’unico accesso disponibile al pensiero altrui, ovvero ai sentimenti e infine all’anima. Ogni tanto, specie nei bambini e nelle persone amate, vediamo un lampo che non esitiamo a interpretare: gioia inaspettata, un turbamento inatteso. Non dubitiamo perché il cuore ci dice di non farlo, ma resta il fatto che leggere un volto resta un’operazione ad alto rischio di fraintendimento. Dovremo continuare a provarci però perché l’alternativa, non guardarci più in faccia, equivale pressoché alla fine di tutto.

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