Già mangiato

Tra tutte le notizie lette in questo Natale intravisto nello smog, la mia predilezione va a un fatterello arrivato dalla Liguria.

Mi rendo conto che gli scenari internazionali imporrebbero un’attenzione ben più marcata: la minaccia dell’Isis incombe (a proposito, caro come ti chiami, Al-Baghdadi, grazie per gli auguri) e il livello di preoccupazione, come ormai nevroticamente doveroso, deve essere portato al massimo livello.

Eppure, a costo di apparire frivolo e disattento, io considero più interessante la notizia che, in Liguria appunto, un’infornata di dodici anziani è stata ricoverata per aver mangiato troppo la notte di Natale. «Alcuni di loro - specifica l’agenzia Ansa - hanno bevuto e mangiato tanto da perdere i sensi per alcuni secondi». Per fortuna, c’è il lieto fine: «Tutti si sono ripresi dopo essere stati sottoposti a una terapia a base di flebo».

Il testo dell’agenzia non specifica né la qualità né la quantità del cibo ingerito, così come tace sulle medesime caratteristiche dei liquidi scolati. Neppure si preoccupa, il cronista, di specificare l’età esatta degli «anziani». Come sappiamo, trattasi di termine scivoloso: personalmente, considero «anziano» chi ha almeno 35 anni più di me. Facevo così a vent’anni, faccio ancora così adesso che ne ho 50: come si vede, resto fedele alle mie definizioni.

Tornando agli anziani mangioni e beoni, stante il lieto fine la notizia intenerisce. Me li vedo davanti agli occhi ingozzarsi come se non ci fosse un domani. E non perché l’età avanzata, matematica alla mano, abbia ridotto la loro aspettativa di vita. Piuttosto, con il clima che c’è oggi, è la generica fiducia nel futuro a essere latitante. Ecco dunque che un panettone e un bicchiere di spumante appaiono più allettanti che mai: nessuno osa dirlo, ma tutti, in un angolo della testa, ripongono il pensiero che potrebbero essere gli ultimi. Se vogliamo metterla altrimenti, diciamo che il domani non c’è più. Forse ce lo siamo già mangiato.

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