Male agli altri

Noto che in molti insorge allarme e frustrazione perché ci sono individui che, davanti al delitto di Fermo, insistono nell’esprimere distinguo, sospetti, letture tangenziali e perfino polemiche.

L’allarme posso capirlo, la frustrazione no. Chi si indigna, giustamente, per l’omicidio non comprende come si possa negarne l’eloquente perversità: vorrebbe che anche i più intolleranti, davanti all’evidenza e in segno di rispetto per la morte di un uomo, rinunciassero per una volta all’abitudine alla disputa, al bisogno del confronto. Si rassegnino: è impossibile.La richiesta sarebbe comprensibile se tutti confronti d’opinione si basassero sulla logica. Non è così: ci sono opinioni che esistono solo per creare le condizioni di esistenza in vita di chi le fa sue.

Facciamo il caso di Giovanardi. Se, la mattina, Giovanardi si svegliasse nel suo candido lettino e si ponesse la domanda «Ma io chi diavolo sono?» non c’è dubbio che proverebbe uno smarrimento irrimediabile. Invece, Giovanardi si sveglia convinto di essere Giovanardi, ovvero il personaggio che rappresenta Giovanardi attraverso le cose che dice e che fa. Se Giovanardi si alzasse con il sospetto di essere niente del tutto, avrebbe certo mosso un passo verso la verità, ma avrebbe perduto quel poco che lo illude di essere se stesso.

Più in generale, si potrebbe dire che alcuni hanno bisogno di «altri» per essere qualcosa. Questi «altri», di preferenza, devono essere una minaccia, un nemico grazie al quale essi, opponendosi a parole o, purtroppo, con i fatti, assurgono a un’identità accettabile, addirittura «nobile», qualcosa che permetta loro di guardarsi nello specchio e non vedere il vuoto. Di fronte a questa condizione, è irragionevole pretendere ragione e contegno. Bisogna invece fare esercizio di tolleranza: uno sforzo che verrà utile in altre circostanze. Tollerare ma anche vigilare, perché bisognerà certo impedire che costoro facciano del male agli «altri» e perfino – un po’ di pietà, suvvia – a se stessi.

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