Non più Italia

Il ministro ai Beni culturali Dario Franceschini aveva ragione di gongolare, l’altro giorno, annunciando che il 2015 è stato un anno record per i musei italiani, anche grazie all’iniziativa delle «domeniche gratis», estesa all’impronta, per così dire, a tutto il 2016.

Per quanto riguarda l’afflusso, vittoria del Colosseo e della zona archeologica adiacente, seguito dalla Reggia di Caserta, dal Giardino dei Boboli e dal Museo nazionale romano. Ancora più soddisfatto, Franceschini per il successo riscontrato nei musei comunali, perché è facile aprire le porte degli Uffizi, classificatosi al sesto posto, e fare il pienone a colpi di Botticelli: più impegnativo attirare visitatori nella struttura modesta, periferica, estranea al circuito turistico di massa e, di solito, orrendamente priva di fondi perché, giustamente, i Comuni spendono tutto per la mensa scolastica e per gli stipendi del personale.

Non che la soddisfazione di Franceschini, per quanto legittima, interessi a qualcuno: la notizia di cui sopra non è certo arrivata alle prime pagine. Difficile che accada, d’altra parte, perché se la Cultura, in città, è confinata nei musei, nei giornali rimane prigioniera delle pagine preposte, ed è raro che possa muoversi da lì. Accade, di solito, quando un dipinto o una scultura di una certa importanza vengono sgraffignati, oppure danneggiati dall’incuria o dalle catastrofi, oppure, ancora, quando un’opera viene battuta all’asta per una cifra spaventosa. In questo ultimo caso è il denaro, non la cultura, a fare notizia, o meglio è la sorpresa che la cultura possa generare denaro.

Purtroppo, confinare la cultura significa spingerla nella direzione opposta a quella indicata dalle «domeniche gratis»: vuol dire staccarla, specializzarla, ghettizzarla. Bisognerebbe mettersi in testa che l’Italia tutta, stante il suo passato e nonostante il suo presente, è cultura. E se non lo è, allora non è più Italia.

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