Ordinaria emergenza

Ci ho sperato, ma credo proprio di dovermi rassegnare: quest’anno si chiuderà nel segno dell’emergenza. Quale emergenza? Scegliete voi: smog, terrorismo, crisi economica, riscaldamento globale, difesa del Milan.

Nel momento in cui scrivo, l’emergenza di turno, quella che sta di guardia ai nostri livelli di ansia e bada che siano sempre dolorosamente alti ma un soffio al di sotto dell’intollerabile, è l’inquinamento. Non è detto, però, che prima di sera l’emergenza possa cambiare: il terrorismo è sempre un buon candidato, ma anche altri accidenti, più o meno prevedibili nella sostanza ma non nella tempistica, potrebbero facilmente subentrare.

A essere scrupoloso nello scrutinio dei tempi, dovrei ammettere che non ricordo più un anno - e neppure un giorno - in cui a un’emergenza non se ne sostituisse un’altra, in una paradossale condizione cristallizzata del presente che potremmo definire solo con un ossimoro: ordinaria emergenza. Non lo ricordo, credo, perché quel periodo, se mai è esistito, oggi è reso impensabile dallo stile dei tempi che poggia tutto, per definizione, sull’emergenza. Non intendo certo negare la gravità dei problemi o la pericolosità delle minacce ma, oltre a questo, a costringerci sul baratro dell’emergenza è un modo di pensare che non crediamo più di poter dismettere. E il pensiero esige che si viva di conseguenza: all’inseguimento di una soluzione immediata, quasi istantanea, anche e soprattutto dove evidentemente non è possibile: come nel caso dello smog, del terrorismo, dei cambiamenti climatici.

Poco importa che non ci siano soluzioni a portata di mano: per vivere abbiamo bisogno di spingerci, insultarci, accusarci a vicenda di ignavia. Chi progetta soluzioni oggi invisibili ma destinate, domani, a cambiarci la vita, resta escluso da questo bailamme. A suo tempo, approfitteremo di tanta saggezza senza rivolgergli neppure un ringraziamento. Nell’emergenza, non c’è tempo per dire grazie.

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