Povera statistica

L’ultima in cui mi sono imbattuto campeggiava sul sito della Cnn: «La mancata assistente di volo che ora possiede una compagnia aerea».

Un video e un abile reportage per raccontare la storia di Sibongile Sambo, donna d’affari sudafricana respinta a un concorso per assistenti di volo (troppo bassa) e capace di costruire a colpi di impegno e sacrifici la suprema rivincita nel confronti dell’aviazione: non potendo lavorare per una compagnia aerea, ora ne possiede una.

Una «storia di redenzione», ovvero un esempio purissimo di quelle avventure umane che amiamo ascoltare perché riferiscono di successi ottenuti contro ogni probabilità. Per un’assistente di volo mancata che fonda la sua linea aerea, la statistica direbbe che migliaia, forse milioni, di altre donne hanno dovuto semplicemente rassegnarsi e cercare una diversa occupazione. Nessuno però vuol sentire le loro storie: ai media chiediamo l’eccezione, non la regola.

La statistica è ignorata, quando non apertamente detestata, perché a nessuno piace essere considerato un numero, o meglio un’unità il cui comportamento ha un valore solo se associato e confrontato con il comportamento degli altri. Peccato, perché la statistica è l’unico strumento a noi disponibile per predire il futuro: non sempre, non con certezza assoluta ma, appunto, con buona approssimazione statistica.

Disciplina relativamente recente, la statistica è oggi alla base di innumerevoli scelte che condizionano (benevolmente) le nostre vite. Invece, l’istintiva ripugnanza che proviamo nei suoi confronti, il rifiuto del ridimensionamento impersonale che impone ai nostri ego, influenzano (negativamente) il nostro pensiero, come ha cercato di spiegare il grande psicologo-economista Daniel Kahneman.

Niente da fare: apprezzeremo la statistica solo il giorno in cui un film ci racconterà la vita di uno statistico che compie un’impresa contro ogni probabilità.

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