Diga del Gleno: storie sotto il fango

«Dezzo, 14 novembre 1923. Carissimo fratello Alessandro, ti mando i miei più cari saluti e baci. Ho tanta nostalgia e vorrei tornare a casa. Ti abbraccio. Tua sorella Matilde».

Queste sono le poche righe che Matilde Piantoni, una delle vittime del disastro del Gleno, scrisse al fratello Alessandro, allora carabiniere nel distretto di Monza. La cartolina reca impressa l’immagine di una giovane donna che volge lo sguardo all’orizzonte e questo particolare deve aver colpito il sensibile animo di Alessandro Piantoni che decise prontamente di andare a riprendere Matilde. La giovane in quel periodo assisteva un’anziana all’albergo Franceschetti di Dezzo. La cartolina impiegò qualche giorno ad arrivare, cosicché Alessandro decise di raggiungere Dezzo sabato 1 dicembre per prendere Matilde e portarla nella loro casa di Teveno dove, ad attenderli, ci sarebbero stati i genitori Luigi e Caterina e i numerosi fratelli. Ma il terribile disastro impedì ai fratelli di incontrarsi. Ancora diciottenne, Matilde morì sotto l’onda di acqua mentre stava per compiere quello che per il fratello Alessandro è stato un grande atto di solidarietà. Avvertita del terribile passaggio d’acqua che di lì a poco si sarebbe abbattuto sull’albergo, Matilde cercò scampo allontanandosi velocemente, ma all’ultimo istante si ricordò dell’anziana affidata alle sue cure e tornò nella stanza per salvarla. L’acqua, però, fu più veloce e la sua forza devastatrice travolse la giovane. La portò tanto lontano e con tale violenza che quando venne ritrovata, nei pressi di Gorzone, era talmente irriconoscibile che ci fu un pietoso contendersi della salma da parte di due famiglie. «Dolore al dolore», con queste parole il fratello Alessandro spesso sottolineava la tristezza di non aver nemmeno una tomba su cui pregare.

Anche Giacomina Duci e Bona Morzenti furono testimoni della tragedia del Gleno.

A Giacomina la tragedia tolse l’affetto del padre, mentre a Bona donò la miracolosa salvezza di Severo Piantoni, che sarebbe diventato in seguito suo compagno di una vita. Severo, all’epoca era dodicenne, stava risalendo a cavallo la via Mala per raggiungere Teveno. All’altezza del sentiero che conduce in Val Padone, Severo udì gli avvertimenti dei compagni di viaggio che gli gridavano: "Lascia il cavallo e scappa, è crollata la diga". Il cavallo di Severo non volle muoversi, ma al contrario sembrò inginocchiarsi per proteggere il giovane padrone, che venne sospinto dal vento in una cavità nella roccia. Coperto di fango e terribilmente spaventato Severo sentiva le voci degli uomini che lo chiamavano e, per farsi rintracciare, fece volare la giacca che indossava. I soccorritori non si persero d’animo e con dei rami d’albero riuscirono alla fine a recuperare il ragazzo.

(01/12/2003)

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