Tanto che il direttore dell’Ufficio scolastico regionale Giuseppe Colosio (parlando a Brescia al convegno organizzato dal sindacato autonomo Snals con i registi ministeriali della riforma, Giuseppe Cosentino, Max Bruschi e Maria Grazia Nardiello), ha potuto rassicurare il pubblico di addetti ai lavori affermando che in Lombardia non c’è «nessun timore per i posti di lavoro, i controlli sono già stati fatti».
Per quanto riguarda invece l’avvio dell’anno scolastico 2010-2011, nonostante i tempi di iscrizione ritardati, la transizione dovrebbe essere morbida: sia perché le province lombarde sono pronte con il piano di riorganizzazione, sia perché le preiscrizioni saranno effettuate presso le scuole medie di appartenenza per via informatica. Sono 90.000 i ragazzi ora in terza media. Le iscrizioni alle superiori si apriranno il 26 febbraio e si chiuderanno il 26 marzo (per le scuole dell’infanzia, elementari e medie il termine è il 27 febbraio).
Dal punto di vista strutturale, l’idea di fondo è di razionalizzare i plessi eliminando le succursali e sgonfiare le megascuole. La riforma è un processo che inizia, piuttosto che una rivoluzione. Tanto che il punto più ansiogeno per i docenti, la riforma delle classi di concorso (cioè la definizione di chi insegna che cosa), è rimandata almeno di un anno. La partita infatti implica non solo riconvertire i vecchi insegnanti abilitati su una materia, ma che non la insegnano da anni, ma anche ricontrattare con le università la formazione d’ingresso dei docenti giovani.
Nel frattempo, il ripescaggio con nuove etichette delle sperimentazioni consolidate (Tecnologico, Erica, Mercurio) permetterà una gestione più morbida del personale della scuola, sia pure con i risparmi connessi alla riduzione generalizzata dell’orario scolastico. Per l’utenza, sembra alla fine trattarsi di una spuntata alla siepe delle 900 sperimentazioni e di una lucidata all’argenteria liceale, senza toccare i venerabili pezzi classici che resteranno in mostra senza entrare in gioco. Qualcosa di più nel comparto dell’istruzione tecnica, che recupera un ruolo chiaro di prima fornitrice di quadri intermedi all’industria e rivaluta l’intelligenza pratica e inventiva. I maturati degli istituti tecnici non potranno più definirsi periti o geometri, ma otterranno il titolo solo dopo il percorso di abilitazione previsto dalle proprie organizzazioni professionali.
La più riformata è l’istruzione professionale. Gli istituti professionali, oltre al diploma quinquennale, recuperano al loro interno anche la gestione del percorso regionale (forte soprattutto in Lombardia) di formazione professionale che rilascia la qualifica triennale e la qualifica europea quadriennale. Con la rimessa in gioco dell’apprendistato, sub formula legge Biagi (cioè percorso misto scuola-lavoro nell’ultimo anno di obbligo, con la parte scuola a cura della regione) sembra completarsi la formazione ai mestieri tecnici e artigianali, una chance ai 126.000 adolescenti italiani che flottano fuori dall’obbligo in attesa del sedicesimo anno.
Per quanto riguarda la Bergamasca, l’unico punto di domanda ancora irrisolto è l’acquisizione o meno di uno dei 40 licei musicali. Per il resto, l’offerta formativa prevista dalla riforma è tutta presente. I licei: artistico, classico, linguistico, scientifico, tecnologico, scienze umane (ex psicopedagogico) economico sociale (ex sociale). Gli istituti tecnici, suddivisi in due settori, economico e tecnologico, il primo con due indirizzi amministrazione-finanza-marketing (ripescati i traduttori per il commercio internazionale e i programmatori) e turismo; il secondo con nove indirizzi corrispondenti ai comparti industriali. I professionali, con due indirizzi, (servizi e artigianato/industria) recuperano, nel primo, ottici e odontotecnici e nel secondo tutto il settore manutenzione, la tipicità delle filiere e la manualità artistica (istituti d’arte).
Cosa cambia? Per il dirigente provinciale Luigi Roffia il punto è educativo: metodo di insegnamento, valutazione delle competenze, laboratori, personalizzazione. Il grosso del lavoro è sulla «macchina», per renderla più in grado di gestire una popolazione scolastica che non è più definitivamente il «resto» selezionato e culturalmente omogeneo di una generazione (come novant’anni fa). Ai docenti si chiede di cambiare metodo e di accettare orari flessibili (in cambio di incentivi pari al 30% dei risparmi ricavati dalla cura dimagrante dei tagli), ai dirigenti di usare l’autonomia per ridisegnare una scuola di territorio che non sia un puzzle autoreferenziale, al collegio docenti di creare uno stile didattico aggiornato e sottoposto a valutazione nazionale.
La promessa è di avere – dopo il 2011 – un ragionevole organico funzionale, cioè personale lievemente in eccedenza rispetto alla pura copertura delle classi per rispondere alle emergenze e scollare la didattica dalla lezione frontale. Per l’integrazione dei disabili, i docenti di sostegno (5.000 in ruolo all’anno, turn over coperto) saranno collegati a reti di scuole. Per Giuseppe Cosentino le parole chiave sono «coerenza del sistema», «rifiuto di standard generici», «evitare ghetti culturali e valoriali», «dialogo fra comunità educativa e civile». I regolamenti attuativi saranno licenziati entro venerdì prossimo: alla fine, da lì si vedrà che cosa, davvero, diventerà la scuola italiana.
Susanna Pesenti
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