«Così venivano gonfiate
le buste paga dei carabinieri»

«La differenza fra quanto spettava al maresciallo S. R. P. per indennità di viaggio e ore di straordinario e quanto ha effettivamente percepito era di pochi euro». Lo ha spiegato lunedì il maresciallo Stefano Beretta, il nuovo capo della sezione amministrativa del comando provinciale dei carabinieri di Bergamo, al processo per i presunti giochi di prestigio contabili che un gruppo di militari avrebbe architettato per gonfiare le proprie buste paga e quelle di qualche collega (alcuni addirittura ignari).

Le cifre, in effetti, sono davvero irrisorie: una manciata di monete per ogni documento «taroccato». Ma, secondo l'accusa, il trucco per non essere scoperti consisteva proprio nell'accreditare indebitamente piccole somme. Così facendo, fra il 2004 e il 2007, i presunti responsabili in divisa avrebbero fatto sparire dalle casse dell'Arma 36 mila euro, tra buoni pasto attribuiti indebitamente (al processo in corso non è contestato), presenze fittizie ai seggi e manipolazione del monte ore straordinari.

Lunedì davanti al tribunale è andata in scena la prima udienza del processo ai tre militari rinviati a giudizio a giugno: il luogotenente P. C., all'epoca responsabile del nucleo comando e ora in pensione, che deve rispondere di omessa denuncia e omissioni d'atti d'ufficio; S. R. P., ex maresciallo di Romano, accusato di truffa e falso; e C. L. G., appuntato del nucleo operativo radiomobile di Bergamo, a cui è contestata la truffa.

Due carabinieri avevano già patteggiato a giugno davanti al gup Raffaella Mascarino: tre anni per peculato e truffa a C. D. P., il maresciallo (ora in pensione) che all'epoca dirigeva la sezione amministrativa del comando di via delle Valli, ritenuto dal pm Giancarlo Mancusi la mente delle presunte malefatte; 20 mesi con la condizionale per il brigadiere G. C., pure lui ai tempi alla sezione amministrativa, accusato di truffa e ora parte offesa al processo contro i colleghi.

Dopo gli esposti anonimi che circolavano da tempo nell'Arma bergamasca, era stato proprio G. C. a rivelare i presunti sotterfugi contabili: «Si era presentato nel mio ufficio - ha raccontato ieri il maresciallo Beretta - dicendomi di controllare due dei fogli di viaggio di S. R. P.. In effetti uno era irregolare: la differenza, a vantaggio di S. R. P., era di pochi euro». Ieri ha testimoniato anche il maresciallo F. M., ex comandante della stazione di Romano, inizialmente indagato, ma uscito dall'inchiesta (ora è parte civile a processo) dopo che s'era scoperto che le firme sotto le richieste di straordinario presentate da S. R. P. all'epoca suo vice, non erano sue. «La mia sigla penso l'avesse apposta lo stesso S. R. P. - ha spiegato ieri -, perché la "M" del mio cognome era fatta a onde, come quella della parola "maresciallo" quando S. R. P. si firmava per esteso».

Davanti ai giudici ieri anche un testimone illustre, il colonnello Benedetto Lauretti, all'epoca comandante provinciale, che aveva raccolto le indiscrezioni di G. C.: «Quello che mi aveva raccontato il brigadiere G. C. - ha spiegato l'alto ufficiale - non conteneva alcun risvolto penale. Altrimenti sarei stato felice di denunciare». Prossima udienza il 7 giugno.

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