
Cronaca
Mercoledì 28 Luglio 2010
La Catalogna abolisce la corrida
Anche a Bergamo si battagliava con i tori
Il Parlamento regionale della Catalogna voterà oggi la proposta di legge che vieterebbe le corride sul proprio territorio. Eppure anche a Bergamo un tempo si svolgeva i combattimenti con i tori. Ecco come e dove.
La comunità autonoma della Catalogna, di cui Barcellona è capoluogo, ha deciso di vietare la corrida. Il parlamento catalano ha approvato l'abolizione nella regione dello spettacolo con i tori con 68 voti a favore, 55 contrari e 9 astensioni. Anche a Bergamo un tempo si svolgevano le battaglie con i tori. Esattamente nel sedicesimo secolo, lustro più, lustro meno. Una tauromachia tutta fatta in casa e chissà se proprio attinta dalle tradizioni dei conquistadores castigliani e andalusi, che fecero poi della Lombardia terra di conquista.
Il cimento era partito in sordina, come una delle tante attrazioni che il grande carnevale bergamasco del Cinquecento, vera vetrina di artisti e cantastorie, guitti e maschere gaudenti che impazzavano in lungo e in largo per tutta la repubblica Serenissima, sapeva proporre. Nel giro di pochi anni però la “disfida dei tori” dovette prendere sempre più piede. Beninteso, non si trattava di una corrida vera e propria, ma di una specie di caccia dove tra tori e galantuomini non si capiva bene chi era il persecutore e chi il perseguitato. Fattostà che preceduta da lazzi e sfottò nelle osterie, la disfida si compiva di giovedì grasso, allorché “sopra la piazza nuova si fece la caccia de' tori, essendo tirato uno steccato di tavole da quelle parti, ove la piazza si trovava aperta”. Così nelle “Effemeridi”, prezioso zibaldone zeppo di curiosità, narra Padre Donato Calvi, che attinse questo episodio da un carteggio lasciato da tal Giovanni Pietro Quarengo. Il luogo deputato alle corride in Città Alta, secondo la ricostruzione più accreditata, dovrebbe corrispondere più o meno all'attuale piazza Mascheroni.
Dentro questo quadrilatero si esibirono aspiranti “toreri” più o meno fortunati, aiutati non da banderilleros, ma da cani che all'occorrenza servivano - evidentemente - anche a distrarre l'ingombrante sagoma nera. I bergamaschi ci provavano gusto. Il 12 febbraio 1567 allestirono uno spettacolo molto pretenzioso e azzardato. Venne preparata una corrida con dodici tori e oltre trenta cani e, così, accadde l'imponderabile. Racconta ancora Giovanni Quarengo: “Per lo spazio di mezz'ora la festa riuscì assai graziosa, ma poi due tori saltati sopra lo steccato posero ogni cosa in confusione correndo come spiritati per la Corsarola (l'attuale via Bartolomeo Colleoni), onde diverse persone che non ebbero tempo di fuggire, rimasero ferite con pericolo di morte. Infine con spiedi furono uccisi i tori e la festa finì”.
Questo episodio imprevisto, con una corrida scatenata sulle strade tra il panico e l'eccitazione del momento, ci riporta immediatamente alla festa di Pamplona “con i tori nelle ramblas” che a decine atterriscono, e a volte calpestano, la gente inebriata dai “fumi” della sangria. Dopo quel nefasto episodio, con alcuni giovani in maschera, “picadores” per gioco, ma infilzati per davvero, la festa taurina fu probabilmente sospesa, con grave “scorno” (è proprio il caso di dirlo) degli allevatori, che negli anni addietro erano stati forse ricoperti di denari solo per aver procurato ai bergamaschi i poderosi e terribili campioni pronti per la gara.
Qualche secolo dopo, ancora di giovedì grasso, il 16 febbraio 1730, il podestà Vincenzo Capello organizzò una caccia al toro, ma pure in quella occasione la fine fu tragica, poiché “nel più bello cascarono li palchetti pieni di gente e fu una confusione".
Nelle Marche, invece, nel XVII e XVIII secolo, l'attrazione più popolare rimaneva il combattimento fra il toro e il cane. Già, proprio come quella di piazza Mascheroni a Bergamo. Evio Hermas Ercoli ha ricostruito le regole del gioco: “Il bue, inizialmente tenuto da un capogiostratore, veniva assalito da uno o più cani. I mastini erano appositamente selezionatV3 ed addestrati per orecchiare l'animale, cioè per addentare le orecchie. Se la presa era potente alla fine il cane poteva sfiancare il toro e fermarlo. Quando il morso del cane bloccava la bestia, la sua fine era decretata. Immediatamente il beccaio lo finiva sotto gli occhi del popolo in delirio. Le sue carni venivano vendute sotto costo, perché molti erano convinti che il combattimento le avesse riscaldate”. A Città Alta, come si è visto, non andò proprio così perché i tori demolirono lo steccato e impazzarono per la Corsarola. A Bergamo, per timore di nuove tragedie, la festa taurina venne sospesa, ma in altre città continuò ancora per molti anni.
Emanuele Roncalli
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