Fikri intervistato da «Matrix»:
«Sapevano che stavo partendo»

«Non stavo scappando, gli inquirenti mi hanno anche augurato buon viaggio». Così parla M'Mohammed Fikri, il 23nne marocchino prima arrestato e poi liberato sul quale inizialmente pesavano i sospetti del rapimento di Yara.

«Non stavo scappando, gli inquirenti mi hanno anche augurato buon viaggio». Così parla M'Mohammed Fikri, il 23nne marocchino prima arrestato e poi liberato sul quale inizialmente pesavano i sospetti del rapimento di Yara.

Lo ha detto nel corso della trasmissione Matrix. «Non stavo scappando - ha ripetuto secondo un'anticipazione della tv rilanciata dall'agenzia Ansa - e d'altra parte gli inquirenti mi avevano già interrogato. Volevano sapere cosa avevo la sera della sparizione di Yara: ho detto loro che il giorno seguente l' interrogatorio sarei partito e gli inquirenti mi hanno pure detto "Buon viaggo". E, infatti, l'indomani sono partito».

Poi Mohammed continua: «Ero sulla nave, al ristorante. Sono venuti da me due marinai che mi hanno chiesto il passaporto. E poi sono arrivati i carabinieri che mi hanno fatto sbarcare, sono salito su un'altra imbarcazione e sono arrivato a Sanremo. Da lì, in macchina, a Bergamo. In caserma il capitano, il maresciallo mi chiedevano come avessi fatto a rapire Yara. Mi hanno fatto sentire la mia telefonata intercettata. E su quella telefonata sono venuti cinque interpreti per tradurla».

In quei momenti, spiega, ha avuto paura: «Nessuno mi ha chiesto scusa, e ho avuto davvero paura e ho pensato: se non trovano il colpevole rimango in galera per sempre». Poi ancora, quanto agli interrogatori: «Durante gli interrogatori temevo che nessuno mi capisse, che non riuscissi a spiegarmi bene. Avevo paura. Ora non ho paura di nulla e ho fiducia nella giustizia italiana, ma non mi sento libero, ho ancora gli occhi puntati addosso».

«Ora chiederò il risarcimento per i danni morali, perchè la mia famiglia ha sofferto molto. E anche per i danni materiali perchè ho perso i soldi dei viaggi e i giorni di lavoro».

Il cugino di M'Mohammed, Abderrazzak, fa un appello: «Il nostro è un messaggio per gli italiani: siamo venuti in Italia per lavorare e migliorare la nostra vita. Non siamo venuti per portare la violenza. E se uno commette del male non va giudicata tutta una comunità».

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