Il commento di Alberto Ceresoli
«Sanità, ora si fa sul Serio»

Ora si fa sul serio. Completate le squadre con le ultime nomine, il direttore generale degli Ospedali Riuniti, Carlo Nicora, e quello dell'Asl, Mara Azzi, hanno potuto cominciare il proprio mandato. Gli auguri di buon lavoro non sono soltanto un atto dovuto, ma un auspicio di tutta la comunità bergamasca, che da sempre guarda ai temi della sanità con grande interesse. Per Nicora e Azzi, infatti, i problemi sul tappeto non sono né pochi né di scarso rilievo.

Lo scoglio più difficile resta il trasferimento delle attività ospedaliere dai «Riuniti» al «Papa Giovanni». Secondo le ultime indicazioni, il nuovo ospedale aprirà i battenti entro il prossimo autunno e comunque non oltre la fine del 2011, ma nei corridoi di largo Barozzi circola la voce secondo cui Nicora preferirebbe far slittare l'apertura del Papa Giovanni tra il febbraio e l'aprile del 2012, stante l'intricata situazione venutasi a creare dopo le note infiltrazioni d'acqua. La speranza è che sia solamente un chiacchiericcio, perché difficilmente Bergamo riuscirebbe a metabolizzare un altro rinvio. Del resto, la stessa Commissione regionale protagonista di un sopralluogo al cantiere del nuovo ospedale nell'autunno scorso non aveva rilevato criticità tali da far ipotizzare ulteriori rinvii.

Tra i problemi più impellenti con cui Nicora si dovrà confrontare c'è anche quello legato al rapporto con i primari. Gli incontri avuti fino a ieri sono andati molto bene e non c'è medico che non abbia apprezzato il modo di porsi del neo direttore generale («parla la nostra stessa lingua»), ma la preoccupazione sulle scelte che dovranno essere fatte nei prossimi mesi, relative ai nuovi primariati, è presente. Le figure apicali da rinnovare a breve sono una dozzina (cui si aggiungono quelle a tempo determinato da riconfermare), e tra queste ce ne sono molte di discipline la cui importanza è strategica per un ospedale di alta specializzazione come i Riuniti: la Neurochirurgia (Francesco Biroli lascerà l'incarico entro l'anno), la Chirurgia pediatrica (Daniele Alberti ha già lasciato per Brescia), le Malattie infettive (Fredy Suter ha finito lunedì), la Chirurgia maxillofacciale, tanto per citarne alcune tra le più significative.

Dopo il cambio al vertice della direziona sanitaria, ora i primari si aspettano maggior condivisione nelle scelte. La fiducia in Nicora è forte, ma i medici – che temono «colonizzazioni» milanesi – restano comunque in attesa di scelte significative che confermino Bergamo tra i centri ospedalieri più importanti d'Europa senza dover pagar dazio alla metropoli lombarda. Anche per la «lady di ferro» della sanità bergamasca, Mara Azzi, i problemi non mancano, al di là di quello di far uscire l'azienda dalla bolla di immobilismo in cui è precipitata negli ultimi tre anni. L'aumento dei pazienti colpiti da malattie cronico-degenerative non si concilia certo con i «tagli» imposti dalla Regione sul fronte socio-assistenziale.

Per non parlare delle esigenze dei malati psichici e del disagio mentale in genere, o del mondo della disabilità, piuttosto che della neuropsichiatria infantile, della necessità di rimettere mano all'ex Guardia medica o di creare un «circuito» ospedaliero di lungodegenza e riabilitazione in stretta connessione con l'assistenza domiciliare integrata e con una nuova medicina del territorio. Già oggi una buona parte dell'inappropriatezza di ricoveri e prestazioni va calata in questo contesto. Qualcosa è stato fatto, ma da fare c'è ancora moltissimo, ed è ora che Milano - che spesso ha trascurato Bergamo - riequilibri coi fatti i bisogni del territorio. Sullo sfondo - sempre più impellente - la necessità di costruire una vera rete ospedaliera, non solo per riqualificare l'offerta in termini strutturali e qualitativi, ma anche per riequilibrarla in termini economici e gestionali. La vocazione «generalista» dei Riuniti (a maggior ragione con l'apertura del «Papa Giovanni») non ha più ragion d'essere. In tempi in cui le risorse sono fi-ni-te, e in un territorio in cui, lungo un asse di dieci chilometri (da Ponte San Pietro a Seriate), c'è una concentrazione di posti letto che forse non ha eguali in Italia a parità di bacino di utenza, non è più pensabile che tutti facciano tutto. Certo la legge istitutiva del Servizio sanitario regionale lo consente, ma i tempi sono cambiati e sotto questo aspetto la legge 31 (datata 1997) appare obsoleta.

Non si può chiedere ai lombardi di «tirare la cinghia» e consentire inutili doppioni a pochi chilometri di distanza l'uno dall'altro, con conseguente spreco di denaro pubblico. Un criterio va dato, certo il più condiviso possibile, ma è ora di mettere ordine, e su questo la Regione dovrebbe far sentire la propria voce. Sulla carta è l'Asl l'ente chiamato a coordinare il tutto, ma in realtà non ha poteri impositivi per farlo, perché l'autonomia di ogni singola azienda ospedaliera è più forte. La creazione di un'unica azienda ospedaliera provinciale - anziché le tre attuali - risolverebbe il problema? Forse sì, forse lo ridurrebbe soltanto, ma vista la perizia con cui si è utilizzato il manuale Cencelli per stilare le recenti nomine, il dubbio che la classe politica non sia ancora pronta per un simile passo è legittimo. Al di là della forma con cui sono state «condite», alcune recenti dichiarazioni di un manager della sanità bergamasca sull'argomento non sembrano essere il viatico migliore per affrontare il problema. E se il buon giorno si vede dal mattino…


Alberto Ceresoli

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