Per crescere ci vuole più equità
Iniziando dal fisco

Equità fiscale e di opportunità, se si vuole rilanciare la crescita. Perché la crescita che non si traduce in sviluppo per tutti non invoglia a sacrificarsi per partecipare all'impresa.

Equità fiscale e di opportunità, se si vuole rilanciare la crescita. Perché la crescita che non si traduce in sviluppo per tutti non invoglia a sacrificarsi per partecipare all'impresa. Ai giovani bergamaschi, concreti ma spaventati dal mondo, una raccomandazione di un imprenditore vero, Silvio Albini: prepararsi, ma poi avere il gusto del rischio, muoversi, inseguire l'occasione o farla nascere. Un po' più di spirito d'avventura. Nella tavola rotonda su economia e territorio condotta con determinazione dall'avvocato Rosa Gelsomino, presidente provinciale delle Acli, è stato chiesto ai relatori di calare nella realtà provinciale gli stimoli delle relazioni dei tecnici, tenendo conto del pre e post crisi: «Che cosa è successo nella crisi, che risposta ci si è dati per un nuovo paradigma di modello economico provinciale? «Il manifatturiero resta la sala macchine della crescita - ha sottolineato il presidente del Cotonificio Albini - ma la crisi è stata dura. Abbiamo imparato, come imprenditori che non basta la competitività della singola azienda, ci si confronta con sistemi di territorio e di paese e la crisi ci ha unito un po'. La coesione sociale è reale, ha dietro una tradizione di relazioni industriali concrete, dove si va alla ricerca della soluzione.

Per Giuseppe Guerini, presidente nazionale di Federsolidarietà, la crisi ha significato rivalutare la capacità delle cooperative di rimettere in gioco le persone: «Avevamo qualche complesso di inferiorità nei confronti delle imprese "vere". Abbiamo capito che una cooperazione non distorta nei fini è un buon modo di fare sviluppo a lungo termine. Adesso sappiamo che siamo qualcosa di diverso, capitale, lavoro e prodotto uniti, produzione del lavoro e produzione del bene. In Europa prima si parlava solo di concorrenza, ora riprende forza il modello, peraltro europeo, dell'economia sociale di mercato, Monti ne sta parlando. Per mantenere il benessere, la coesione sociale è fondamentale».

Coesione per il sindacato è partecipare alle scelte dell'impresa, avere per i propri figli parità d'opportunità nella società. Allora si partecipa allo sforzo per la crescita con tutt'altro spirito. Francesco Corna, segretario Cisl, dice chiaro che partecipazione «non è solo chiamare il sindacato quando deve fare la Croce Rossa degli ammortizzatori, significa entrare nella governance delle aziende. Senza confondere i compiti. Nelle aziende pubbliche si può entrare in Cda, nelle medio-grandi nei consigli di sorveglianza alla tedesca, per le piccole occorrono gli enti bilaterali. Formazione e apprendistato funzionerebbero meglio». La crisi ha escluso dal lavoro i più vecchi, gli invalidi, quelli che già per inserirsi avevano margini stretti. «Facciamo uno sforzo, inventiamoci degli strumenti - ha concluso Corna - ma non lasciamoli in coda alla Caritas». Chiamato in causa il direttore don Claudio Visconti conferma: 2.000 famiglie sono state aiutate. Ma accanto agli impoveriti per la crisi, restano i poveri di sempre, i marginali duri. «La crisi ha tolto lavoro ai laboratori di recupero, ha reso impossibile reinserire questa gente nella società, sta ributtando fuori quelli che avevan trovato lavoro perché sono i primi ad essere lasciati a casa e li segna di un nuovo fallimento. La coesione vera è anche inclusione. Altrimenti non è sviluppo, e neanche giustizia».

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