La storia del vessillifero:
dalla prigionia al martirio

Correva il tempo dell'imperatore Diocleziano, il terzo secolo dopo Cristo, quando Marco Aurelio Massimiano Erculeo, dall'oscura fama di persecutore, Imperatore Augusto per l'occidente, condusse la Legione Tebea, la mitica Fulminante, normalmente stanziata ai confini meridionali dell'impero, verso le Alpi, dove tra Gallia e Italia premevano le incursioni delle tribù celtiche. Il Primicerio Maurizio, il comandante in capo, guidava la legione, composta in gran parte da soldati cristiani, provenienti dalle terre precocemente evangelizzate della Tebaide, della Nubia, dell'Etiopia. Forse perché rifiutarono di offrire sacrifici agli dei, o forse perché non vollero combattere le popolazioni cristiane che vivevano sulle Alpi, i soldati guidati da Maurizio lasciarono le schiere dell'imperatore e si rifugiarono ad Agaunum, cercando di evitare la vendetta di Massimiano che, a capo di truppe fedeli, li raggiunse e ne ordinò lo sterminio.

All'uccisione di un uomo su dieci seguiva la proposta dell'abiura; al perdurare del rifiuto seguì il massacro. Pochi furono i superstiti: Cassio, Severino, Secondo e Licinio che ripararono in Italia, trovando scampo a Milano, con loro il Primipilo, il vessillifero Alessandro, colui che aveva in custodia l'aquila, l'insegna della legione che sventolava in battaglia guidando i movimenti dei soldati. A Milano, però, Alessandro fu riconosciuto e imprigionato. Subì un processo, dopo aver rovesciato a calci la mensa su cui gli furono presentati gli idoli a cui sacrificare con l'ingiunzione di sottomettersi all'avversario, al tiranno.

Dalla prigione, con l'aiuto di San Fedele, Alessandro fuggì, dirigendosi a nord, verso Como; di nuovo catturato fu destinato alla decapitazione, ma il carnefice, il soldato Marziano, spaventato dalla testa di Alessandro che miracolosamente/magicamente gli si erse davanti come un monte, ebbe le braccia irrigidite e si rifiutò di ucciderlo. La stessa sorte, si narra, sarebbe toccata ad altri soldati chiamati ad eseguire la condanna; pertanto fu rimesso in carcere, a morire di stenti, ma riuscì nuovamente a fuggire. Dopo il mirabolante attraversamento dell'Adda “pedibus siccis”, a piedi asciutti, Alessandro strumento di vittoria sulla persecuzione, “miles strenuus”, atleta della fede, giunse nella località Pretorio della città di Bergamo.

I cristiani in città a quel tempo erano pochi, e per paura di Massimiano si nascondevano; il venerabile cavaliere Alessandro, rifugiatosi in una zona oltre il piccolo fiume Morla, nel Borgo chiamato Palazzo, visse in preghiera attirando proseliti. Lì, secondo tradizione, fu catturato dai miliziani dell'imperatore Massimiano che erano stati sguinzagliati come cani arrabbiati sulle sue tracce. Sul luogo della cattura si vuole sia stata eretta una chiesa, S. Alessandro in Captura. Gli sgherri dalle mani grondanti sangue, attraverso la bassa città lo trascinarono nel vico intitolato all'antico duca di Bergamo: Crotacio.

Sul luogo si ergeva una colonna con la sua statua e intorno si diceva nascessero fiori il cui odore risanava gli infermi. Davanti alla statua era stata imbandita la mensa coperta di idoli; ad Alessandro fu rivolta l'ennesima richiesta di sacrificare agli dei pagani, pena la morte. Seguì l'ennesimo fermo rifiuto. La fine, attesa, sperata, salvifica era giunta: Alessandro chiese dell'acqua ai circostanti, si lavò le mani, s'inginocchiò e pregò, infine ringraziò Dio e reclinò il capo offrendolo al boia. Era il 26 agosto del 303 d.c. A trovare il suo corpo, dopo qualche giorno, fu la nobile Grata, che raccolse pietosa il capo reciso adagiandolo tra le sue vesti. La tradizione racconta che infuriata per l'assassinio del giusto distrusse la colonna di Crotacio ed insieme ogni segno di idolatria.

Al suo posto fece costruire una chiesa detta di S. Alessandro “in Colonna”. Con la compagna Esteria e con i suoi servi volle dare sepoltura al martire in un suo podere posto sull'alto dei colli, fuori le mura della città. La strada era faticosa e impervia, il mesto corteo aggirò la salita attraversando il prato disteso ai piedi di Città Alta, dirigendosi verso est. Fermatosi il gruppo a un crocevia, per darsi il cambio, videro stillare dal capo mozzato del martire gocce di prezioso sangue che si trasformavano in fiori al contatto colla terra.

Quel luogo prese il nome di Borgo della Mutazione, volgarmente detto Mugazzone, e Grata vi costruì una chiesa detta di S. Alessandro della Croce Giunti al podere disteso tra le vigne, all'inizio di Borgo Canale, la nobile Grata dette sepoltura ai resti del Santo là dove fu eretta la basilica a lui intitolata. Da quel momento il glorioso martire Alessandro risplendette come una lucerna sopra un candelabro e coi suoi miracoli illuminò il popolo bergamasco.

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