Australia, il sogno dei bergamaschi
«Qui troviamo un lavoro in due giorni»

di Benedetta Ravizza

Una settimana (quando si è pretenziosi) per trovare casa, mezza giornata per aprire un conto bancario e avere l'assistenza medica. Due giorni per essere assunti. Benvenuti nel mondo di Oz, ovvero l'Australia.

di Benedetta Ravizza

Una settimana (quando si è pretenziosi) per trovare casa, mezza giornata per aprire un conto bancario e avere l'assistenza medica. Due giorni per essere assunti. Benvenuti nel mondo di Oz, ovvero l'Australia. «Il fatto fuori discussione è che prestiamo un'attenzione scandalosamente scarsa per le faccende australiane», scrive Bill Bryson, autore de «In un Paese bruciato dal sole», una delle più esilaranti guide sul continente detto «fossile» ma tutt'altro che fossilizzato. Se fate mente locale, infatti, vi potreste ricordare solo tre citazioni nei tg nazionali recenti: la visita di Kate e William d'Inghilterra con tanto di nonna; lo sciopero della compagnia di bandiera Qantas; lo sbarco ufficiale di Obama, che si è sbellicato nel chiamare «amici» gli australiani, considerati avamposto strategico nel Pacifico.

«La fuga di tutti» - Eppure per gli italiani (bergamaschi in prima fila) sarebbe il caso di uscire da quest'indifferenza, visto che il Paese agli Antipodi (ci vogliono 25 ore di volo per arrivarci, e il fuso è avanti di 11 ore), tra i più dinamici, è diventato (o meglio tornato a essere) meta di immigrazione. «E non è la fuga dei cervelli – si legge sulla rivista "Lo straniero", che registra il fenomeno – bensì la fuga di tutti». Attirati da una qualità della vita alta, dalla meritocrazia e dalla zero (o quasi) burocrazia.


Gli «sbarchi» settimanali - Abbiamo accompagnato un bergamasco in questa avventura e toccato con mano la realtà. È un martedì pomeriggio a Sydney. Al sesto piano di un grattacielo della centralissima Pitt Street, nella sede di Go Study – agenzia che si occupa di assistenza gratuita ai nostri compatrioti – si tiene la job session settimanale, per fornire dritte su casa e lavoro. C'è una dozzina di persone tra i 18 e i 50 anni, provenienti dal Nord al Sud dello Stivale. «Ne arrivano almeno una decina ogni settimana», conferma Paola Berta Mascherpa, senior counsellor, originaria di Brescia, lei stessa arrivata qui per un corso di inglese, e poi restata. Fatto un rapido calcolo, vuol dire una quarantina di nuovi sbarchi «ufficiali» al mese, perché molti, ovviamente, non si appoggiano a questo ufficio di consulenza. Si arriva con il «working holiday», il visto che dura 12 mesi e permette di lavorare per mantenere il proprio soggiorno, oppure con il «visa student», nella speranza di ottenere poi uno «sponsor» (un datore di lavoro) per poter rimanere. Cosa poi non così difficile, visto che il governo vede di buon occhio l'arrivo degli europei per arginare la colonizzazione asiatica. C'è chi sogna di sfondare come cantante, ma i più hanno i piedi per terra e sono disposti a tutto, a fare la colf, il muratore, il cameriere, il contadino, la baby sitter. Quei mestieri – è il noto refrain – «che nessuno in Italia vuole più fare».


Le storie - «Non è vero – ribatte Luca di Bergamo, 30 anni, laureato in Scienze naturali –. Io per 8 mesi ho portato il curriculum nelle agenzie interinali. Mi andava bene tutto, anche fare l'operaio in fabbrica. Non ho ricevuto uno straccio di telefonata, per questo me ne sono andato». Altra versione quella di Sara, psicologa di 28 anni, di Modena: «Certo che in Italia non li facciamo quei lavori, perché non ci fanno mangiare. In Italia non c'è più futuro. A Sydney, invece, si può ancora sognare». Ascoltando le storie di questi giovani (ma non solo) è infatti la parola «sogno» che ricorre più spesso. Il sogno di vivere in una grande metropoli, ancora, però, a misura d'uomo, tra il verdeblu della Baia, le piante secolari dei giardini botanici, il biancogiallo dei cacatua di giorno e gli inquietanti flying fox (pipistrelli giganti) che emigrano di notte, le onde delle spiagge tra le più belle del mondo, come Bondi, Coogee e Manly, patrie del surf, la possibilità di bere una birra a prezzo sociale (che Roma e Milano se lo scordano) davanti allo spettacolare skyline dell'Opera House e dell'Harbour Bridge. Qui sembra tutto a portata di mano, anche se poi ovviamente non lo è.


I dati - Resta però il fatto che la disoccupazione in Australia è del 5% contro il nostro picco dell'8,5%, con una mobilità sociale che fa rabbrividire le nostre gerarchie paleolitiche. E gli stipendi sono adeguati al costo della vita. L'affitto di una stanza in un gentile quartiere come Artamond, a pochi chilometri dalla City – meglio uscire dal centro, dove il mercato dei materassi è gestito dai cinesi, che ci hanno offerto un posto letto dietro un paravento a 135 dollari a settimana, in un appartamento mignon con otto inquilini – costa 125 dollari australiani (poco meno di 100 euro) mentre chi è dipendente di un'agenzia di catering può prendere anche 30 dollari all'ora (circa 23 euro).


«È ovvio che si lavora volentieri e senza guardare l'orologio anche facendo le mansioni più umili – racconta Felice (che ormai chiamano tutti Felix), trentenne originario di Sondrio, partito come cameriere e ora manager di un hotel pluristellato –. Perché sai che se lo meriti fai strada, non esistono le raccomandazioni». Nel quartiere di Kings Cross (un tempo a luci rosse, oggi decisamente ripulito, residenza di molti italiani, dopo la diaspora di Leichardt, l'originaria Little Italy, dove ha sede «La fiamma, quotidiano italiano d'Australia» e decadenti vetrine di vestiti da cerimonia per i pomposi matrimoni italiani si susseguono) in un ostello incontriamo Greta, 35 anni, di Milano.


«Come tante mie coetanee – dice – ho iniziato facendo le pulizie (e non è il massimo, tenendo conto che la maggior parte degli ospiti sono anglosassoni, noti per non avere uno spiccato senso dell'igiene) in cambio dell'alloggio. Ora sono nello staff d'accoglienza. Quest'anno abbiamo ricevuto l'Oscar per il miglior servizio». C'è chi, invece, è qui in vacanza e parla di «tradimento» di questi giovani che hanno perso la fiducia nel Paese tricolore. «Ma forse – scrive ancora "Lo straniero" – è un giusto tradimento, verso cui bisognerebbe avere il massimo rispetto, perché a partire ci vuole coraggio e star lontano è soffrire, non sei mai a casa nemmeno dopo vent'anni». E così si stringe il cuore a vedere Luca che si commuove e si arrabbia sentendo alla radio la manovra Monti.

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