Giorgio Gori, il ritorno a casa
«Studio Bergamo e la politica»

di Franco Cattaneo
Per lui è un ritorno a casa. D'accordo, Giorgio Gori è nato e vissuto a Bergamo. Un legame mai interrotto neppure quando, sospinto da quel tipico glamour sarpino, era un manager tv in carriera.

di Franco Cattaneo
Per lui è un ritorno a casa. D'accordo, Giorgio Gori è nato e vissuto a Bergamo. Un legame mai interrotto neppure quando, sospinto da quel tipico glamour sarpino, era un manager tv in carriera: la moglie Cristina Parodi, giornalista di Canale 5, i tre figli da crescere, i vecchi amici, il jogging di rigore la domenica mattina in Città Alta, la vita da pendolare di lusso Bergamo-Milano-Roma e in giro per il mondo.

Questa volta però il ritorno a casa è diverso, perché più solido e nel segno della politica. «Lasciata Magnolia, mi sono preso - afferma - un periodo sabbatico che non so quanto durerà. Sto cercando di dare una mano a vari livelli per migliorare un po' le cose. Mi definisca pure un volontario della politica: sono in una posizione d'ascolto, consapevole di affrontare una materia nuova». Studia Bergamo e si riaffaccia così alla politica, con l'aria di uno che i compiti a casa li faceva. Già, perché il punto di partenza è il vecchio amore: appunto la politica.

Siamo al Sarpi, metà anni '70, e Gori riceve da Andrea Moltrasio il testimone della guida di «Azione e libertà», un gruppo studentesco laico-riformista. Poi la passione politica si integra con quella per il giornalismo: ragazzo di bottega, e via con il marciapiede cronachistico, al vecchio «Giornale di Bergamo» e a «Bergamo Oggi». Quindi il salto a Milano, i 17 anni a Fininvest, il palcoscenico del bel mondo.

Il suo nome è legato al Grande Fratello della prima ora: proprio nulla da farsi perdonare? «No - risponde -, allora era un elemento di forte innovazione anche del linguaggio televisivo. Poi quel tratto di novità s'è completamente alterato e quello di oggi è un altro programma». Ed eccoci all'autunno scorso, al congedo da Magnolia, la società di produzione tv che aveva creato e portato all'affermazione: «Ho lasciato per tante ragioni, la principale è che sentivo il dovere di rimettermi in gioco, di rinnovarmi. Del resto non sono nuovo a queste discontinuità: prima il giornalista, poi il manager e domani chissà cosa».

Formalmente Gori è senza lavoro, a parte seguire gli investimenti di questi anni: in una start up, per esempio, di cui preferisce non dare particolari, e in una società di microcredito per il Terzo Mondo. Avrebbe potuto fare tante cose, compresa quella di lavorare a tempo pieno a Bergamo, e invece s'è lasciato guidare dalla curiosità. E la curiosità lo ha riportato là dove era partito: alla politica.

Da qui il capitolo Matteo Renzi, il rottamatore del Pd e sindaco di Firenze. La svolta è dell'estate 2011: «È stato un mio amico, Luca Sofri, figlio di Adriano, a dirmi che valeva la pena conoscere Renzi». Detto, fatto: un messaggino («Buongiorno, sono Giorgio Gori: mi farebbe piacere incontrarla»), la risposta, l'incontro e la nuova avventura.

Un'avvertenza: quando Gori parla di queste vicende ha un linguaggio sorvegliato, tende a proporsi non come protagonista, ma quello che sta un passo indietro, che non è afflitto dall'ansia presenzialista, anche perché sa che in politica il vantaggio competitivo di un personaggio già noto può rivelarsi un'arma a doppio taglio: «È un fatto ricorrente che i giornali mi attribuiscano un ruolo più importante di quello che io non abbia. Si è detto che sarei stato l'organizzatore della Leopolda, l'incontro a ottobre a Firenze, e che sarei stato l'estensore del discorso di Renzi. Cose non vere, anche perché Matteo - mi creda - è un'intelligenza veloce, fa tutto lui, e i discorsi sono tutti suoi. Il mio è stato un lavoro organizzativo e di scaletta: tutto qui».

Quando parla di Renzi, uno che nel Pd ha tanti estimatori quanto detrattori, si scorge la sintonia di carattere: «È uno che non traccheggia, ma decide. Non ha bisogno di essere consigliato e assistito: è velocissimo e in questo mi ricorda Enrico Mentana. Ha le qualità del leader, il coraggio necessario e combina bene idee di sinistra con strumenti liberali e innovativi». Gori spende buona parte della sua attività nel costruire una rete per Renzi in giro per l'Italia: Toscana, Emilia Romagna, Marche, Liguria, Campania. In questo periodo è spesso a Palermo, in vista delle primarie per le amministrative di primavera, dove sostiene un giovane renziano, Davide Faraone. Con Renzi, che pare ancora lo scout di un tempo, si sente spesso. Del resto quando si ferma a Firenze alloggia in un bed & breakfast sopra gli uffici del quartier generale del sindaco: «Guardi che tutto questo vuol dire due stanzette e un paio di ragazzi volonterosi».

Renzi, però, in qualche modo riconduce idealmente il Nostro a Bergamo, dove il mese scorso ha preso la tessera del Pd: «La mia iscrizione è un gesto molto pensato e di fiducia nei confronti della politica. Capisco che in tempi di antipolitica sia un'idea romantica, ma ho compiuto una scelta: imparare cose nuove, aprire la testa su altri temi, dedicare, dopo una vita professionale fortunata, un po' del mio tempo ad un interesse non privato, non personale, ma cercare di dare una mano su problemi di interesse più generale».

È con questo corredo concettuale che il manager si muove senza far rumore nel ruolo di praticante della politica: colloqui discreti qua e là, qualche pranzo con esponenti del Pd, chiacchierate trasversali anche con gli amici del centrodestra. Per il momento niente di più: via i romanzi, legge sociologia politica (l'ultimo libro: «L'eclissi della borghesia» di Giuseppe De Rita e Antonio Galdo, edito da Laterza), consulta e annota la stampa locale. Insomma, usando come si diceva prima un termine molto democristiano, è in ascolto. Sì, ma è in fase d'apprendimento per poi spiccare il volo? Risposta: «Se lei si riferisce a quello che qualcuno ha ipotizzato, e cioè che io sarei in corsa per fare il sindaco, le posso dire che non è assolutamente vero: fra l'altro, chissà cosa può succedere da qui al 2014».

Nella biografia di Gori c'è comunque un antico e rinnovato rapporto d'amicizia con Roberto Bruni. Proprio un anno fa, nel cominciare il rientro a Bergamo, era stato notato ad un incontro pubblico organizzato dalla lista dell'ex sindaco, uno dei primi fra l'altro ad essere informato dell'iscrizione al Pd. E alcuni progetti, anche se non lo dice in modo esplicito, deve averli in testa: «Sto pensando a qualche iniziativa, ma devo impostarla bene. Ho l'impressione, pur in un quadro positivo, che Bergamo potrebbe essere più ambiziosa: come umore complessivo, mi sembra un po' rinunciataria. Credo sia opportuno un coinvolgimento maggiore della società, dato che i partiti da soli non sono più sufficienti a far da filtro tra politica e gente comune. Io sono laureato in Architettura e, anche se non ho mai fatto l'architetto, ho una certa sensibilità a temi come l'ambiente e la qualità della vita. Mi piacerebbe contribuire al colpo d'ala di una terra un po' seduta». Non perdiamolo di vista: strada facendo, potrebbe riservarci alcune sorprese.

Franco Cattaneo

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