L'editoriale di Gandola:
La Regione conta gli indagati

di Giorgio Gandola

«Qui ne arrestano uno al giorno». Era stato il perfido commento di Umberto Bossi dopo gli scandali giudiziari al Pirellone che riguardavano Nicoli Cristiani e Ponzoni del Pdl. Ieri in tarda mattinata è toccato al suo partito: indagato Davide Boni, che non è proprio un ballerino di fila della Lega, ma è il presidente del consiglio regionale. I pm lo accusano di aver ricevuto una tangente di un milione di euro in relazione a un'ipotesi di reato molto gettonata: la facilitazione nel rendere fabbricabili aree sulle quali costruire supermercati.

Il botto è notevole, anche se dalle intercettazioni risulta che questi soldi non sarebbero stati intascati direttamente da Boni, ma dirottati al partito per iniziative sul territorio dell'hinterland milanese. Una decina di casi, una decina di centri commerciali, una decina di mazzette. Ed eccoci di nuovo qui a raccogliere i cocci della credibilità della politica vent'anni dopo Tangentopoli.

E a dover dare ragione ad Antonio Di Pietro quando, proprio nella nostra redazione un mese fa, disse: «La lezione di Mani pulite non è servita, la corruzione è persino aumentata». Ora il problema è la regione in senso istituzionale. La regione più all'avanguardia d'Italia. Un apparato moderno ed efficiente che regola la vita amministrativa della Lombardia, vale a dire il venti per cento circa del pil nazionale. Meno della California, ma molto più della Baviera.

Una regione simbolo per la Sanità, per la Scuola, per il rapporto fra pubblico e privato, per il no-profit, per l'innovazione, (per le infrastrutture e i trasporti no ma dicono che serve tempo), per la distribuzione delle risorse sul territorio. E per le inchieste di corruzione. La faccenda è singolare e al tempo stesso preoccupante. Lo è per la politica, lo è per la percezione dei cittadini. Non può esserci risalita dagli inferi della diffidenza; non può esserci ritorno dalla crisi di credibilità senza un barlume di buona vecchia onestà nella gestione della cosa pubblica.

In Lombardia tutti i partiti combattono una lotta senza quartiere per il consenso e tutti i partiti sono toccati da inchieste giudiziarie. Prima la decapitazione politica di Filippo Penati (Pd), travolto da un'inchiesta dagli effetti paralizzanti per tutto il partito, che ha determinato la perdita dell'innocenza del centrosinistra nel mare berlusconiano. Poi l'arresto di Franco Nicoli Cristiani (Pdl) per le tangenti consegnate dal costruttore bergamasco Pierluca Locatelli. Poi ancora le manette a Massimo Ponzoni (Pdl) per bancarotta, corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti. E adesso Boni. Iscritto allo stesso club, il registro degli indagati, con la sola differenza della cravatta verde e della pochette verde nella stessa nouance.

Lungi da noi trarre conclusioni e istruire processi, se finiscono tutti archiviati siamo contenti. Ma già così lo scenario è preoccupante e la fotografia che pubblichiamo in questa pagina è illuminante: le cinque persone in posa facevano parte dell'ufficio di presidenza di Roberto Formigoni. Anzi ne erano la totalità.

Tutti indagati tranne uno, Carlo Spreafico del Pd. Sulla parete davanti all'ufficio del governatore, lassù sul nuovo Pirellone, c'è una scritta al neon: «La politica è azione per il bene comune». Il senso della parola «azione» non andrebbe frainteso.

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