Le storie di Natale: «Grazie
Avete salvato la nostra vita»

«Io voglio dire grazie ai medici, agli infermieri, alle persone che ci sono state vicino. Ve lo chiedo per favore, perché è importante. Medici e infermieri che si sono impegnati per me e per la mia famiglia ben oltre i loro doveri, ben oltre i loro orari di lavoro».

«Io voglio dire grazie ai medici, agli infermieri, alle persone che ci sono state vicino. Ve lo chiedo per favore, perché è importante. Medici e infermieri che si sono impegnati per me e per la mia famiglia ben oltre i loro doveri, ben oltre i loro orari di lavoro. Se io e la mia famiglia andiamo avanti, se ogni mattina apro gli occhi e rivedo le mie meravigliose figlie e la mia meravigliosa moglie lo devo a loro».

Angelo parla nella saletta del nostro giornale; Angelo ha mandato una lettera a L'Eco di Bergamo dove racconta brevemente la sua storia e soprattutto inserisce molti «grazie». Ma è una storia che merita di essere raccontata in maniera più ampia.

Angelo chiede di tenere nascoste le sue vere generalità: un segno di pudore, forse di timidezza. Spiega: «Era il settembre 2011, avevo un dolore al torace, ho fatto delle visite, si sospettava un infarto. Mi hanno sottoposto alla Tac in una clinica della città, ma non è emerso nulla. Ha cominciato a farmi male una spalla, non riuscivo più a guidare».

«Il mio medico mi ha prescritto un'ecografia all'addome, in ospedale. Il radiologo era un tipo asciutto, quasi scontroso. Ma molto attento. Mi ha detto che avevo diverse lesioni ai reni e che dovevo fare una Tac, che me l'avrebbe fatta lui, che era urgente. Ho fatto questa Tac. Mentre scendevo le scale mi sono sentito chiamare: mi hanno chiesto di sottopormi subito a un secondo esame».

Il giorno dopo Angelo ha ricevuto una telefonata, è tornato in ospedale. Racconta: «C'erano il radiologo e un'infermiera che ho scoperto di conoscere bene. Un caso, sì. Mi hanno detto che avevo tre tumori, che tutti e due i reni erano stati attaccati. Sono rimasto colpito, certo, ma sono uscito dall'ospedale e sono andato al colloquio con i professori di mia figlia. Come se niente fosse. Non volevo che la vita venisse turbata, non volevo che la mia famiglia risentisse di questa cosa. Probabilmente questo è stato un errore».

Dopo qualche giorno, Angelo è stato visitato dal dottor Da Pozzo, primario di urologia all'ospedale di Bergamo. «Il dottore è stato asciutto, diretto. Mi ha detto che bisognava operare, che non sarebbe stato sufficiente un solo intervento, mi ha chiesto se avevo domande. Io gli ho detto che avevo una moglie e due figlie, gli ho domandato: "Dottore, lei mi salva la vita?". Ricordo che lui è rimasto in silenzio, poi ha detto: "Se il tumore è limitato ai reni abbiamo buone possibilità, se no ci sarà un percorso differente"».

Era l'aprile scorso. Angelo è stato messo in lista d'attesa. Nel frattempo la figlia adolescente ha cominciato a manifestare disagio, a rifiutare il cibo. «La situazione - spiega Angelo - nel giro di qualche settimana è diventata drammatica. Mia figlia è una ragazza attiva, sportiva, brava a scuola. La vedevo appassire sotto i miei occhi. Ha perso venti chili in tre mesi, è stata una discesa continua e non sapevamo che cosa fare. Proprio in coincidenza con la mia malattia. Sono stati momenti terribili per tutta la famiglia».

All'inizio di maggio Angelo ha subìto la prima operazione. Diverse ore di intervento, il rene estratto, sezionato, ripulito, reintrodotto. «Era incredibile come i medici, gli anestesisti seguissero me e gli altri malati, gli infermieri ci curassero. C'è stata una notte che ho chiamato otto volte gli infermieri. Una notte mi si è staccato il tubicino della morfina, contavo i secondi che passavano per via del dolore. Una settimana di ospedale e dopo quarantacinque giorni la seconda operazione. Ricordo il risveglio, come in una nebbia, un'infermiera che mi diceva: "Sei stato fortunato, ti abbiamo anche salvato il rene"». Angelo è tornato a casa dopo otto giorni, ma questa volta la ripresa è stata faticosa.

«L'organismo faceva fatica a recuperare dopo questo secondo intervento. E mia figlia stava sempre più male, si era chiusa, non si riusciva più a comunicare con lei. Mia moglie non reggeva la situazione, la seconda figlia stava male anche lei, ovvio. La prima figlia era scesa da cinquantotto a trentotto chili. Ci hanno consigliato l'Istituto Palazzolo, ci sono stati i colloqui, il ricovero. Eravamo appesi a un filo, ma anche alla Palazzolo abbiamo incontrato competenza e comprensione. Io andavo migliorando, ma mia figlia era sempre in una condizione molto difficile.

Dopo il ricovero è tornata a casa. Adesso andiamo ancora alla Palazzolo, abbiamo colloqui con lo psicologo anche come famiglia. Mia figlia ha ricominciato a mangiare». La voce di Angelo si incrina e per un momento smette di parlare, poi lentamente dice: «Mia figlia ha recuperato due chili, va a scuola, sembra avviata sulla strada giusta. Anche mia moglie sta molto meglio, gli incontri alla Palazzolo ci hanno aiutati a rientrare nella stessa sintonia, a fare fronte comune rispetto alle scelte, alle prese di posizione. Adesso andiamo avanti, la piccola respira una nuova serenità, io mi sento bene, stiamo meglio tutti. Penso a tutte le persone che ci hanno aiutato, al medico radiologo Amedeo Tomasoni, all'anestesista Alessandro Bistoni, al primario Luigi Da Pozzo, a tutti gli operatori della divisione di urologia degli Ospedali Riuniti, a medici e psicologi della Palazzolo. E a tutte le persone che ci sono state vicine... Non immaginavo quanto bene potesse esserci».

Paolo Aresi

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