«Roncalli, il fondatore di Taizé»
A Roma il Papa incontra i giovani

Da oggi al 2 gennaio si svolge a Roma l'Incontro europeo dei giovani promosso dalla comunità di Taizé. Il Papa parteciperà a un momento di preghiera con i giovani. L'Eco di Bergamo ha intervistato frère Alois Löser successore di frère Roger.

Da oggi al 2 gennaio si svolge a Roma l'Incontro europeo dei giovani promosso dalla comunità di Taizé. Il Papa parteciperà a un momento di preghiera con i giovani domani alle 18 sul sagrato della basilica di San Pietro. Nella Capitale sono attese più di 30 mila persone per celebrare il «Pellegrinaggio di fiducia sulla terra» lanciato più di 30 anni fa da frère Roger Schutz, inizialmente sotto il nome di «Concilio dei giovani». 

L'Eco di Bergamo ha intervistato frère Alois Löser successore di frère Roger.

Frère Alois, cos'è il «Pellegrinaggio di fiducia»?
«Una proposta ai giovani che s'interrogano sul senso della vita, un invito a scoprire e accogliere Cristo che è fermento di pace e fuoco di riconciliazione nelle Chiese e nell'intera famiglia umana, un invito ai giovani di tutti i continenti a mettere in comune le loro attese, intuizioni, esperienze per prendere un nuovo slancio verso il presente. Non vogliamo creare un movimento di Taizé, ma mandare i giovani nelle parrocchie, c'è bisogno di comunione locale con tutte le generazioni».

Perché i giovani si rivolgono a Taizé?
«Rimaniamo stupiti dal fatto che giungano sempre e numerosi. A Taizé cercano un momento di riflessione sul senso della vita. I giovani di oggi si trovano davanti a difficoltà materiali, molti studiano ma non trovano lavoro. Sono alla ricerca di un progetto di vita, ma non trovano appoggi nella società, ecco perché è importante sviluppare la fiducia in Dio per avere un sostegno».

Il Concilio ha dato una spinta notevole alla vita di Taizé?
«Di più, ciò che si vive oggi a Taizé come comunità ecumenica sarebbe impensabile senza la realtà del Concilio. Se, da ragazzo cattolico di 16 anni, sono potuto andare a Taizé nel 1970 e approfondire la mia fede con cristiani di diverse confessioni, è grazie al Concili. Il mio cammino, come quello di tanti altri pellegrini che vengono a pregare sulla nostra collina, sarebbe stato impossibile senza l'assise conciliare».

E questo è il motivo per il quale frère Roger diceva che il fondatore di Taizé è Giovanni XXIII?
«In un certo senso è vero. Disse qualche cosa di simile anche Giuseppe Roncalli, il fratello più giovane del papa, che si recò a Taizé due volte. A suo nipote Fulgenzio un giorno disse: "Ciò che uscirà da Taizé è mio fratello Papa che l'ha iniziato"».

Che influenza ebbero Giovanni XXIII e il Vaticano II su Taizé?
«Su richiesta del cardinale Gerlier, allora arcivescovo di Lione, papa Giovanni XXIII ricevette frère Roger e frère Max già qualche giorno dopo la sua elezione. Da subito, tra il papa e il priore di Taizé si creò un legame di cuori. Il cardinale Marty, arcivescovo di Parigi, conosceva bene questo rapporto di fiducia reciproca, e affermò un giorno: "È grazie al fatto che Giovanni XXIII ha conosciuto personalmente i fratelli di Taizé che trovò il coraggio di invitare degli osservatori non cattolici al Concilio". Dal momento in cui ricevette la lettera d'invito per lui e per frère Max al Concilio, frère Roger si convinse di non dover semplicemente partecipare all'assemblea, ma di dover portare a Roma la vita di Taizé, con la preghiera comune e l'accoglienza».

Cosa colpì frère Roger del Concilio?
«Fra le tante cose, l'annuncio nel gennaio del 1959 e le parole di Giovanni XXIII: "Non faremo un processo alla storia, le responsabilità sono comuni, non cerchiamo di sapere chi ha avuto torto e chi ragione; diciamo solo: riconciliamoci". Frère Roger le citò fino alla fine della vita».

Taizé fu definita da Papa Giovanni una "piccola primavera della Chiesa". Oggi se ne vedono i frutti...
«Non vogliamo fare di Taizé un movimento, questo è solo il luogo della nostra comunità monastica. Auguriamo che qui il vento della riconciliazione non smetta mai di soffiare. Gli ostacoli all'unità dei cristiani non sono solo teologici, ma anche culturali, e spesso anche psicologici. Ma quando i cristiani confessano Cristo insieme, il Vangelo risplende in maniera nuova per coloro che faticano a credere».

L'intervista integrale su L'Eco di Bergamo in edicola

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