La città è bella ma deve crederci
Ormai l'Expo è dietro l'angolo

Bella. E possibile. Nel senso che Bergamo può giocare a pieno titolo le proprie carte nel panorama culturale e artistico nazionale e internazionale. L'importante è crederci, come emerso dal quarto modulo de L'Eco Lab. Commenta sul blog de L'Ecolab

Bella. E possibile. Nel senso che Bergamo può giocare a pieno titolo le proprie carte nel panorama culturale e artistico nazionale e internazionale. Ma mai come adesso l'importante è crederci, come emerso dal quarto modulo de L'Eco Lab dedicato alla città bella.

«Capace di nascondere molte sfaccettature, una realtà allo specchio» la definisce Giorgio Gandola, direttore de L'Eco di Bergamo, che mette sul tavolo due fattori: «Contraddizioni e identità». Sulle quali confrontarsi, come fatto in questo mese grazie anche alla collaborazione di Ipsos e degli studenti dell'Università di Bergamo. «Città policentrica, con quartieri che vivono orgogliosamente la propria identità anche culturale» sottolinea Claudio Visentin, direttore della Fondazione Bergamo nella Storia: «Non è mai facile capirla al primo colpo, ed è forse per questo che uno va subito in Città Alta».

Ma ognuno con una propria idea di cultura, il che rende fondamentale una certa capacità d'ascolto «perché è appunto tante città». In sè e nell'immaginario di chi la visita. «Bergamo è anche capace di dialogare con il territorio, come dimostrato dallo straordinario successo della mostra del Lotto di qualche anno fa, un modello da seguire» ricorda Maria Cristina Rodeschini, responsabile Accademia Carrara e Gamec. Cominciando dalla fortunata esperienza della raccolta delle opere esposte al Palazzo della Ragione, simbolo di una centralità anche fisica dell'offerta, che partendo da Piazza Vecchia si apre a 360 gradi. «Una parte importante della nostra identità sta proprio nella cultura figurativa» aggiunge Simone Facchinetti, curatore del Museo diocesano «Adriano Bernareggi».

Senza dimenticare quella musicale rappresentata da Gaetano Donizetti, espressione di quella «tradizione altissima» alla quale fa da contraltare quella folclorica, come evidenziato da Francesco Bellotto, direttore artistico del Teatro Donizetti, che rivela la strategia seguita: «Partire da Bergamo per arrivare all'esterno: una scelta mirata che ora ci permette di rappresentare opere che non si fanno altrove». Con ricadute anche locali «in una città che ha un patrimonio culturale immensamente superiore alla sua dimensione». Come dire che gli ingredienti ci sono, e pure di primordine, peccato che spesso «i primi a non crederci siano i bergamaschi» spiega Gandola. È il tema della consapevolezza, decisivo per il futuro. Come la comunicazione, vero punto critico.

«Gli scambi di questi anni di chiusura della Carrara ci hanno obbligato ad essere all'altezza» sottolinea la Rodeschini. Preoccupata del fatto che «questa città spesso non sappia a che pubblico proporsi, e non vorrei venisse trascurato quello dei giovani. Non possiamo permettercelo». Tanto più nell'ottica di una sfida chiamata futuro: «Più della metà degli spettacoli del Bergamo Musica Festival è destinato a un pubblico giovane» spiega Bellotto. «Per comunicare bisogna però avere qualcosa da dire, il pubblico è molto più sofisticato ora: non può essere deluso» aggiunge Facchinetti. E non sempre i giovani rispondono, rileva, ricordando la loro sostanziale assenza «ai nostri corsi di storia dell'arte, sempre pieni». Ma forse ha ragione Visentin quando ricorda che «il vero problema è un mondo che cambia a una velocità impressionante». Starci dietro in termini di comunicazione non è sempre facile.

E a proposito di velocità il 2019 è dietro l'angolo: «Questa è una città di grandissima cultura, dobbiamo farlo percepire all'esterno», spiega Bellotto parlando della corsa a Capitale europea. Una partita da giocare «e la prova generale è qui che ci aspetta, l'Expo del 2015» aggiunge la Rodeschini. «Individuando un punto forte» aggiunge Facchinetti. Con la consapevolezza che la sfida del 2019 «ci obbliga a ragionare in un'ottica nuova, diversa: non quella alla quale siamo abituati. La cultura ci salverà, ma non sappiamo ancora quale» conclude Visentin. Commenta sul blog de L'Ecolab

Dino Nikpalj

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