Roncalli dribblava le spie col dialetto
Le foto delle lettere in bergamasco

Nella monumentale produzione epistolare di Angelo Giuseppe Roncalli, il futuro Giovanni XXIII, vi sono una quarantina di lettere scritte a don Giacomo Testa, alcune integralmente in dialetto bergamasco. Un modo per dribblare le spie.

Nella monumentale produzione epistolare di Angelo Giuseppe Roncalli, il futuro Giovanni XXIII, vi sono una quarantina di lettere scritte a don Giacomo Testa, alcune integralmente in dialetto bergamasco, altre con diverse parti nella «lingua» assai familiare ai due interlocutori

L'epistolario - indirizzato all'ex alunno del Seminario Romano ordinato sacerdote nel 1931, che - come è noto - fu via via segretario, consigliere e uditore di nunziatura a Sofia, Istanbul, Parigi - copre l'arco cronologico 1939-1956, iniziando dunque dal periodo in cui mons. Roncalli era già da qualche anno delegato apostolico in Turchia e Grecia e terminando con una lettera scritta durante il servizio pastorale come patriarca di Venezia.

Per quale motivo mons. Roncalli ricorse alla «lingua» conosciuta dal destinatario? Non per un singolare «divertissement», bensì per un'esigenza di riservatezza che doveva coprire messaggi esclusivi o particolari, impedendone la comprensione a occhiate furtive.

A suffragare questa ipotesi anzitutto il contenuto delle lettere. In questi messaggi si parla infatti di incontri, di personalità straniere, di richieste, di questioni che avrebbero potuto rappresentare in quel periodo mosse diplomatiche assai delicate. Il compianto mons. Mario Benigni vicepostulatore della Causa di beatificazione di Papa Giovanni, profondo conoscitore del periodo trascorso da mons. Roncalli in Oriente, disse che «il delegato apostolico aveva mille occhi e mille orecchie; spesso la corrispondenza gli veniva recapitata già aperta e ciò lo turbava non poco».

Una frase che conferma ancor più l'ipotesi di un rappresentante pontificio spiato o comunque sotto controllo. Il bergamasco scritto dunque poteva rivelarsi più sicuro persino della «cifra» usata dai diplomatici della Santa Sede per scambiare rapporti e comunicazioni confidenziali. Insomma il nostro dialetto risultava certo più difficile da decifrare del codice in uso. Un'ulteriore conferma è l'inciso spigolato dalla prima lettera a Testa datata 12 agosto 1939 e spedita da Atene. Scrive Roncalli: «Non è che il mondo debba cascare se non ci incontriamo di persona, ma a voce si dicono tante cose che è troppo lungo e pericoloso scrivere».

La missiva prosegue poi tutta in bergamasco e informa l'interlocutore su alcune persone da assistere cui bisogna inviare denaro in Turchia («bisognerà sobet mandaga ol corispondent de 153.80 de chi laur chi comensa per D...»), sul seminario locale («spetae quak noele circa ol seminare...»), sull'incontro avuto da Roncalli con personalità importanti come l'ambasciatore del Reich in Turchia Franz Von Papen. Scrive in proposito Roncalli («ho est i uselocc piö gros..).

Il 2 agosto precedente infatti vi era stato il primo incontro fra il delegato apostolico Roncalli con l'ambasciatore tedesco: il primo di una serie. In qualità di delegato per la Turchia e la Grecia («la siura Ellena»), Roncalli doveva occuparsi di due Paesi diversi e reciprocamente ostili e se il contesto politico-religioso della Turchia Kemalista rappresentò un difficile banco di prova, non da meno la sua azione nella Grecia ortodossa specie dopo che Mussolini invase il Paese e i 35.000 cattolici sparsi vissero momenti durissimi.

L'epistolario prosegue poi con un'altra lettera - questa volta in italiano - spedita durante le vacanze, esattamente il 23 agosto 1939 da San Pellegrino - con interessanti riferimenti «locali» ad esempio al congresso eucaristico tenutosi in quell'anno a Gazzaniga («tutto riuscì a meraviglia...come vedrai da L'Eco») e quindi ecco la lettera successiva tutta in dialetto «da Roma ol quater de setember....del ..» con riferimenti a Giovanni Battista Montini («ol montì»; nel '37 era sostituto della segreteria di Stato, carica mantenuta nel '39 con l'avvento del nuovo papa) e a Gustavo Testa («ol to omonimo ....»).

Nelle lettere appaiono talvolta nomi decisamente importanti il barone von Lersners, il card. Maglione (1877-1944) («ol tricotè») cardinale nel '35, Segretario di Stato nel '39; assieme ad altri non identificati come un ortodosso («ol barbù»), autorità ecclesiastiche a cui dare informazioni («chi sota ol tecc»), le suore di Sion («i sion»). Fatta eccezione per una sola lettera, le altre sono scritte a macchina e non deve essere risultato facile riportare frasi dialettali con le migliaia di dieresi e accenti gravi e acuti che vuole la lingua bergamasca. L'epistolario propone in definitiva pagine di storia e di diplomazia vaticana. Una storia criptata in dialetto, ancora tutta da decifrare.

Emanuele Roncalli

© RIPRODUZIONE RISERVATA