«Vuoi sposarti, avere figli?
Per il lavoro puoi aspettare»

Da mesi cerca lavoro e ogni volta che fa un colloquio è costretta a rispondere a domande insistenti sulla sua vita privata: «Sei fidanzata? Desideri sposarti?». I potenziali datori di lavoro vogliono evitare di assumere una donna che potrebbe andare in maternità.

Da mesi cerca lavoro e ogni volta che fa un colloquio è costretta a rispondere a domande insistenti sulla sua vita privata: «Con chi vivi? Sei fidanzata? Desideri sposarti?». I potenziali datori di lavoro vogliono evitare di assumere una donna che potrebbe andare in maternità.

Francesca (nome di fantasia) ha 31 anni, è laureata in Lingue e per diverso tempo ha lavorato in un'azienda di Grassobbio, dove si occupava dei rapporti con i clienti stranieri. Nel novembre dell'anno scorso la casa madre della ditta per cui lavorava, con sede in un'altra regione, ha deciso di tagliare sul personale: chi voleva continuare a lavorare doveva trasferirsi nella sede centrale, gli altri a casa.

Lei non se l'è sentita di cambiare città e così è rimasta a piedi. Da subito ha cominciato a cercare un nuovo impiego: annunci, agenzie interinali, passaparola. Ha fatto tanti colloqui con i titolari di diverse piccole e medie aziende della provincia e ogni volta si è sentita chiedere con insistenza i dettagli della sua vita privata. «Una volta me l'hanno detto chiaro - spiega -: "Sai com'è, non vogliamo restare a piedi". Negli altri casi non hanno esplicitato, ma è evidente che puntano a capire se c'è la possibilità che io rimanga incinta. A dir poco umiliante: invece di valutare il mio curriculum e le mie competenze l'attenzione è puntata su una mia potenziale maternità».

Francesca aveva trovato il primo impiego senza troppa fatica, dopo uno stage di sei mesi. Anche se per qualche tempo le avevano fatto firmare solo contatti precari, la situazione sembrava poi essersi stabilizzata. Dopo il licenziamento, però, l'aria è decisamente cambiata: la nuova ricerca di lavoro, complice il periodo di crisi, si è rivelata impresa ardua. «Devo ammettere che fino allo scorso novembre non ero molto esperta di colloqui di lavoro, mentre adesso ormai sono diventati la mia principale attività. Per questo non mi aspettavo questo tipo di trattamento. Ho studiato, preso ottimi voti, ho esperienza e buoni risultati lavorativi, eppure ogni volta le prospettive di un'assunzione si arenano sulla questione maternità. Mi dicono che andrei bene, ma che sarebbe meglio se avessi già una stabilità familiare, così la chiamano».

Meglio una donna con qualche anno di più, che ha già fatto figli, di una trentenne che, seppur capace, potrebbe un giorno decidere di avere un bambino e restare a casa in maternità. «Mi sento umiliata come donna - continua Francesca -, agli uomini nessuno chiede se sono sposati, fidanzati o se vivono in famiglia. All'inizio mi arrabbiavo, poi è subentrata la frustrazione, ho perso fiducia, sembra davvero che studiare e darsi da fare non abbia alcun senso. Il mio lavoro mi piace e per me è importante: io mi voglio realizzare anche professionalmente, oltre che nella sfera affettiva».

Una situazione, quella che vive Francesca, che probabilmente colpisce tante giovani donne come lei, più o meno specializzate, che cercano un impiego nella nostra provincia. Impossibile quantificare, visto che si tratta di un fenomeno completamente fuori dal controllo delle statistiche.

«Purtroppo la maternità continua ad essere vissuta come un problema - commenta Alberto Citerio, segretario generale della Fisascat di Bergamo, il settore della Cisl che si occupa di commercio, turismo e servizi -. In casi come questo addirittura diventa un problema preventivo, per cui si evita di assumere una lavoratrice. Ma purtroppo la questione non si risolve una volta che si viene assunte, anzi, sono frequentissimi i casi di donne che dopo aver avuto un figlio vengono messe in serie difficoltà dai propri datori di lavoro».

Può succedere che una volta rientrate dalla maternità le lavoratrici si trovino improvvisamente e senza spiegazione a dover svolgere una mansione diversa dalla precedente, oppure che debbano fare i conti con cambi di orario poco compatibili con la famiglia, come il lavoro domenicale o serale. L'obiettivo, spesso, è quello di spingerle alle dimissioni.

«Il problema - continua Citerio - è che la maternità viene vista come un ostacolo alla produttività. Si è molto parlato della cosiddette dimissioni in bianco, che la donna è costretta a firmare al momento dell'assunzione, ma la questione è più ampia. Il problema è politico e culturale, finche la maternità viene vista soltanto come un costo sarà difficile che le cose cambino. Occorrono politiche in questo senso».

Sara Agostinelli

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