Gigi Del Neri: «Senza il rispetto
non si va da nessuna parte»

A Gigi Del Neri, Wikipedia dedica un apposito paragrafo intitolato «Etica» (assente nelle schede biografiche di altri allenatori) che recita: «A roman catholic...cattolico, Del Neri ha spesso sottolineato l'importanza dell'etica nel suo lavoro di allenatore». Per una volta Wiki ha detto la verità. Parlando ai ragazzi dell'Alta Val Brembana, riuniti nel glorioso cineteatro di Piazza Brembana per la Settimana degli adolescenti, l'allenatore dell'Atalanta, 58 anni, friulano di Aquileja, si è fatto capire molto bene, aiutato dalle domande intelligenti dei giovani sacerdoti del vicariato: «Sognare di diventare calciatore dev'essere il sogno di ogni bambino (o bambina), ci mancherebbe. Ma senza impegno e sacrificio non si arriva da nessuna parte. Giocare al pallone è uguale a studiare: se non ti applichi, non combini niente».

«Applicazione» e «testa alta» sono i cardini dell'etica delneriana, una morale che trova più facile applicare dalle nostre parti, culturalmente affini alle sue, piuttosto che in zone più solari e morbide come Roma o Porto. Sarà che ha cominciato a lavorare a 14 anni, che per andare a giocare partiva da casa nella laguna di Grado e si faceva «un tratto in barca, poi in motorino fino ad Aquileja, allenamento, motorino, barca. Per anni, tutto l'anno». Quando dice «qua vedo dei ragazzi molto rispettosi, in genere hanno una base di educazione, la capacità di distinguere tra l'allenatore figura pubblica e il privato cittadino, c'è rispetto per l'uomo. Ho vissuto in altre città dove era impossibile stare in pace. Qui ci si alza presto e si va a letto presto» in sala corre un mormorio di approvazione. Del Neri e il pubblico di giovanissimi si riconoscono a vicenda. Racconta di quando tifava Juve ai tempi di Sivori e Boniperti. Ascoltano anche gli ultrà in sala, sciarpe nerazzurre agli orecchi: «Gli ultras sono particolari, con loro ho un rapporto molto schietto» come dire che quando è stato il caso, non gliele ha mandate a dire. «Sono stati troppo esuberanti in passato e han fatto cose non giuste, vedi lo sciopero che han fatto solo loro...adesso pagano anche le cose piccole, perché è così, se rubi una volta, poi sei sempre tu il ladro...spiace, ma la vita è così. Basta un attimo per far male e poi ci vogliono anni luce per sistemare le cose. Adesso gli ultras devono filare dritto, anche nei dettagli. Perderli ci spiace: in campo ne sentiamo la mancanza, trasmettono una forza, un'energia alla squadra. L'Atalanta ha bisogno di loro ma in bene, per migliorare le situazioni, devono stare attenti alle cose che tolgono credibilità». Del Neri batte sul «rispetto» : «Ci vuole rispetto per la squadra, la città, le istituzioni, è tutto legato. Bisogna sempre uscire a testa alta dalle situazioni, come Doni, che è diventato capitano perché la squadra lo stima e l'ha scelto. La tecnica non basta, perché quando l'Atalanta vince, vincono tutti quelli che hanno lavorato per lei, anche chi pulisce le scarpe e guida il pullman». Belle parole, ma gli ricordano che di giocatori bravi in campo e fuori di testa nella vita ce ne sono a mazzi. Del Neri ammette che è facile abituarsi al privilegio, e anche le famiglie premono, l'agonismo fa scattare ambizioni, rivalse, si può perdere la misura e farla perdere ai figli:«Ci vuole unità d'intenti tra scuola e famiglia, se non c'è rispetto non si può insegnare niente e non s'impara niente». L'allenatore in fondo è un educatore, i giocatori guardano quel che fa in campo e fuori, non quel che dice: «Il mio metodo è rispetto delle persone, far vedere gli errori e dare un piccolo obiettivo di miglioramento. Piccolo, così ci si arriva e serve da stimolo per un altro miglioramento, senza fine». È importante avere giocatori anziani che facciano da leva positiva: «Non solo per il gol ma per come si curano, per come fanno gli allenamenti, per la vita privata che dev'essere bella. Doni, Bellini hanno un carisma che passano ai giovani. Gyorgy Garics alle dieci va a letto. I giovani dell'Atalanta hanno solo cominciato a giocare, se vogliono confermarsi, diventare giocatori veri, hanno da faticare, nessuno ti da niente per niente, neanche nel calcio».

E, tanto per chiarire che la tecnica non ti autorizza a infischiartene del prossimo: «Meglio dieci meno bravi che stanno alle regole che due bravissimi senza regole. La selezione tecnica si fa una volta all'anno a fine campionato. Per il resto vale il comportamento, chi non è positivo, non gioca. Almeno finché ci sono io». Per Del Neri la squadra è un ambiente di vita che deve insegnare il rispetto di «se stessi come uomini prima che come giocatori, non è un obbligo giocare al pallone. L'obbligo è fare le cose con passione e responsabilità, poi ci riesci oppure no. Allora vai a casa senza drammi e fai qualcos'altro. Non è un obbligo neanche fare l'allenatore». Racconta con chiarezza (ed è forse questo il momento più importante della serata) i suoi errori professionali, quello che ha imparato lo mette ordinatamente sotto gli occhi dei ragazzi perché lo prendano e lo portino a casa. Non tutti, ma qualcuno capisce. La squadra è il posto dove impari a vivere, allora succedono i miracoli come il Chievo, tutti uniti, in A a giocare davvero contro i campioni «che i miei si tenevano in tasca sulle figurine Panini». E, chiedono, c'è posto per Dio nel calcio? «C'è posto per la fede» risponde Del Neri e racconta di Nicola Le Grottaglie, visto crescere dai tempi del Chievo, «esuberante, bello, compiaciuto di piacere, inquieto, contraddittorio. Adesso ha trovato la sua strada, vorrei avere la sua fede, perché gli ha dato una serenità fantastica».

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