Ragazzi annoiati a scuola? Hanno ragione, almeno in parte. Perché la scuola è un ambiente di apprendimento funzionale al libro, alla penna e al foglio, come 500 anni fa. Per i ragazzi entrare in un’aula è fare un salto nel passato. Fuori da scuola apprendono in un altro modo. Non eliminano il libro, ma lo integrano in una rete che è allo stesso tempo strumento, ambiente di apprendimento, metodo di lavoro. Ma non è solo la generazione dei “nativi digitali”, i ragazzini nati alla metà degli anni ’90 quando il pc è diventato un elettrodomestico, a stare stretta nei vecchi panni: il cambiamento della mente e dei rapporti connesso al digitale interessa anche gli adulti, gli ”immmigrati digitali” che hanno imparato a usare le Ict da grandi. Scattano gli stessi meccanismi e le stesse fatiche.
Si tratta piuttosto di una questione di gradi di conoscenza e confidenza col mezzo, fino a poter dire “internet è il mio set”, il mio ambiente privilegiato di espressione e comunicazione. E se il gap digitale sembrava dividere inesorabilmente le generazioni, si sta scoprendo che la natura cooperativa della rete che tende a includere e non escludere, a privilegiare l’uso condiviso sulla proprietà privata, a popolarizzare le procedure, può essee un mezo per riavvicinare nonni e nipoti, a patto che gli anziani accettino di imparare dai bambini.
Cosa cambia davvero oltre all’attivazione di certe aree del cervello piuttosto che di altre? Cambia il rapporto tra corpo e parola. La prima parola fu orale: la parola nel corpo organizzava il mondo oslo in presenza del soggetto parlante. La civiltà nacque dalla parola scritta, sganciata dal corpo, in grado di organizzare a distanza e in assenza del corpo. Ora la parola diventa multisensoriale, multidirezionale. Le conseguenze non possono ancora essere calcolate, se non la dilatazione della coscienza, intesa come possibilità di sperimentare l’universo.
I primi segnali del cambiamento sono economici: pochi giorni fa il Mit di Boston ha stabilito che paper e ricerche dei suoi scienziati e docenti saranno di accesso libero e pubblico sulla rete, saltando il passaggio monopolistico della pubblicazione sulle riviste scientifiche di carta. Quali problemi restano? La memoria, intesa come attitudine umana a connettere e studiare i fatti mentre li ricorda (la storia); la preparazione delle giovani generazioni a lavori che esistono già ma la scuoal non conosce. Resta, ovviamente, il problema di chi produce l’energia e la somministra per fare funzionare le Ict: fino a che non ci sarà autonomia energetica individuale, anche la rete sarà sempre condizionabile dal potere. La Cina (ma non solo) insegna. Viviamo tutti in “nuvole” di informazioni incrociate dove i l concetto di “disciplina” diventa rigido e inadeguato.
Che fare’? Investire sul “mindware”, le teste degli insegnanti che devono chiedersi che cosa la scuoal può dare alla rete e non solo viceversa. I forzati delle Lim, gli scettici del metodo wiki si scopriranno liberi rovesciando il discorso, chiedendosi, non cosa può fare per loro la rete , ma cosa possono fare loro per la rete. E, di conseguenza, per i loro bambini, la prima generazione di nativi digitali.
Susanna Pesenti
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