Giovedì 21 Maggio 2009
Leucemia acuta linfoblastica:
il modello Riuniti fa scuola

“I pazienti che sulla base delle informazioni ottenute dall’analisi molecolare abbiamo potuto trattare solo con la chemioterapia hanno ottenuto una remissione di malattia e una sopravvivenza del 75%”, spiega Alessandro Rambaldi, Direttore dell’Ematologia degli Ospedali Riuniti di Bergamo. “In dieci anni – prosegue Rambaldi - abbiamo studiato 280 pazienti trattai in tutta Italia secondo il protocollo ideato a Bergamo. Abbiamo sottoposto le cellule leucemiche di questi malati a una raffinata analisi molecolare, isolando e sequenziandone il Dna: in questo modo abbiamo creato una sonda molecolare specifica per ogni paziente che ci ha consentito di individuare a intervalli di tempo regolare, la persistenza di cellule malate nel loro organismo e stabilire se vi fosse una ripresa a breve termine della malattia. Solo in questo caso, i pazienti diventavano candidati al trapianto”.
In letteratura esistono studi retrospettivi sull’argomento, ma questo è il primo trial clinico nella leucemia acuta linfoblastica dell’adulto in cui cruciali decisioni terapeutiche sono state prese sulla base delle indicazioni date dalla biologia molecolare. Bergamo può quindi a pieno titolo considerarsi apripista nel tracciare una strada destinata a rivoluzionare l’approccio terapeutico.
“Il lavoro in laboratorio ha avuto un peso determinante e senza la competenza e la dedizione delle nostre specialiste in biologia molecolare (Orietta Spinelli, Manuela Tosi e Barbara Peruta) del laboratorio Paolo Belli non avremmo potuto fare nulla. Farci guidare dai riscontri forniti da queste sonde molecolari ha significato risparmiare il trapianto a moltissimi pazienti, una scelta che finora veniva compiuta in maniera empirica”.
L’impiego della biologia molecolare per trattare al meglio questi pazienti oggi è uno standard che viene applicato in tutti i centri di riferimento internazionali per la terapia di questa malattia e che a Bergamo è in uso dal 2000.
“La ricerca deve però proseguire – spiega Rambaldi - perché dobbiamo migliorare ancora sotto molti aspetti. Nel nuovo studio appena partito vogliamo affinare la qualità delle sonde molecolari, che è molto legata alle caratteristiche individuali del malato e che oggi può essere più o meno sensibile, (capace cioè di individuare una cellula malata su diecimila oppure su un milione di cellule sane), e vogliamo anticipare il momento in cui prendere la decisione di avviare o meno il paziente al trapianto allogenico, che per alcuni pazienti rappresenta l’unica possibile terapia efficace. Anche per questo è solo grazie alla presenza di specialiste dedicate alla gestione e al coordinamento dello studio - Elena Oldani e Federica Delaini - che questi progetti diventano realtà applicate a tutti i nostri pazienti. Progetti destinati a cambiare in meglio la vita di molti malati”.
La ricerca è stata sostenuta anche dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro.
a.ceresoli
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