Il vescovo Beschi parla a Longuelo
«I genitori credano di più in se stessi»

Metti un mercoledì sera estivo all’oratorio di Longuelo, di fianco alla chiesa vecchia. Tavoli apparecchiati sotto un tendone, profumo di pastasciutta e di birra, motorini spenti parcheggiati a sciami sul marciapiede con i ragazzi che restano fuori a chiacchierare.

Dentro tanti adulti, volontari col cappello da cuoco, signore in tuta, nonni di un quartiere di oggi che riscopre la voglia di ritrovarsi. Il nuovo parroco, don Massimo Maffioletti, gioca su due sponde: nel salottino di vimini che ha fatto allestire sul palco, come un piccolo «Porta a porta», ha invitato Ettore Ongis, che è stato per anni il suo direttore a «L’Eco di Bergamo», a intervistare quello che è il suo attuale «datore di lavoro», il vescovo Francesco Beschi. Che a dire il vero è qui già da metà pomeriggio, si è fermato a mangiare tra la gente e anche dopo l’incontro non andrà via subito.

Alla sua tavola c’era anche il sindaco Roberto Bruni. Tra il pubblico l’assessore Valter Grossi, qualche candidato e un buon numero di giornalisti curiosi. Ongis ha preparato una lunga fila di domande piuttosto impegnative. A tema («Chi rende più umana la vita») c’è soprattutto la famiglia, come crescere i figli, la difficoltà di farli rientrare a casa entro una certa ora, l’influenza di una cultura che spiazza i genitori, spesso li fa sentire quasi inutili.

Un cristianesimo che non può essere semplicemente un cappello di moralismo da mettere in testa al mondo di oggi che ama vivere a testa scoperta. «Non è una cosa di tutti i giorni - inizia Ongis, per rompere il ghiaccio - avere un vescovo così a portata di mano, pronto a rispondere alle nostre domande».

Monsignor Beschi dialoga in modo semplice, diretto, e piano piano il chiasso di una serata estiva si quieta e dopo una mezz’ora sono tutti lì, in piedi, ad ascoltare questo colloquio così informale. «Io sono una persona che ama la serenità, e anche il gusto della vita» dice monsignor Beschi. «Ho vissuto bene, sono contento».

Mette in gioco se stesso per spiegare che la coscienza cristiana non è diversa da quella di tutti, forse solo dovrebbe «rendere inquieti gli appagati, e appagati gli inquieti». Invita i genitori a «trasmettere ai loro figli questo senso di fiducia che la fede alimenta», perché nelle relazioni umane «partire dalla fiducia credo sia decisivo». Non sono cose che semplicemente dice. Cerca di farle vedere in atto: «Noi spesso facciamo grandi discorsi» sui valori - nota -, dovremmo chiederci più spesso «come li sto vivendo io: fare i conti con la realtà».

A Ongis che gli chiede cosa significa, oggi, educare i figli risponde che non ha intenzione di «insegnare a un genitore» il suo mestiere, che non vuol fare la figura di «una persona francamente irritante». Racconta piuttosto di sua madre, di quello che ha vissuto lui in famiglia, di uno stile di vita passato per osmosi. Richiama solo l’importanza della «fedeltà», che è una semina di fiducia non solo nella vita di coppia ma anche in quella sociale.

Ongis cita Péguy e monsignor Beschi risponde con Martin Luther King, dice di essere «uno che crede nei miracoli»; invita soprattutto i nonni a non essere cinici ma a «meravigliarsi ancora» di tutto il bene che c’è. Dice che invece di rimpiangere il passato dovremmo «inventare un modo di essere cristiani oggi: e non è una brutta avventura, sapete?».

Per i genitori demotivati ha una parola secca, sulla quale dal pubblico parte spontaneo l’applauso: «Dobbiamo credere di più in noi stessi: noi siamo gli adulti; noi dobbiamo stare davanti». Senza presunzione ma anche senza paura. A Ongis che gli descrive la generazione di «Amici», un mondo in cui i modelli per i ragazzi sono ormai quelli proposti dai media risponde di essere convinto «che non esista una potenza più grande delle relazioni familiari, che ti segnano per tutta la vita».

I genitori non devono sottovalutare questa forza: «Se i nostri figli, però, vedono che noi per primi abbiamo paura, loro, poveracci, impazziscono». Il vescovo ammette che oggi investire nei rapporti affettivi non è semplice per nessuno, che «siamo così disabituati a soffrire che ci ritiriamo anche dal tentativo di amare». Fa notare che persino i preti hanno «la tentazione di vivere da single», di pensare di bastare a se stessi.

«Eccellenza – ha commentato alla fine il parroco – più che delle pillole di saggezza lei stasera ci ha dato delle grosse fette di testimonianza». Il dialogo verrà pubblicato venerdì prossimo da «L’Eco» nelle pagine di «Vita della Chiesa».

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