A Bahia e Olinda in pieno carnevale brasiliano

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CANOA QUEDRADA (BRASILE) - Ok, lo so, dovrei esaurire l’argomento Sudafrica, che sta diventando un tormentone, ma secondo voi ero in grado di scrivere seriamente di Johannesburg e Soweto quando nel cuore di Salvador de Bahia mi rimbombava nelle orecchie fino alle 5 del mattino il trio elétrico sparato a volume siderale dai camion di trenta metri (uno è qui a fianco) dotati di enormi casse acustiche? Naturalmente no e allora parliamo del carnevale brasiliano, il Sudafrica può attendere, non scappa.

Il carnevale non rientrava nelle mie priorità, a fine febbraio avrei dovuto essere quasi in Messico, invece il cambiamento di itinerario, l’andamento lento del raid e il tempo perso per il fuoristrada ai box mi hanno condotto a Bahia proprio nei giorni più frenetici della baldoria in cui due milioni di persone ballano e bevono birra nelle strade da giovedì sera al martedì ed è incredibile come non crollino a terra letteralmente esauste.

Un carnevale in cui la modernità dei trios elétricos (il significato è duplice: identificano sia stili musicali elettronici molto veloci, sia i camion, in pratica discoteche itineranti, su cui si esibiscono le stelle brasiliane) tende a schiacciare la tradizione afro più genuina e non a fondersi con essa, almeno secondo la mia impressione. Un carnevale che è il trionfo della musica: elettronica, afoxé (la più famosa espressione musicale baiana con forti ritmi africani), frevo, samba-reggae....

Sono stato a Bahia da giovedì 23 a domenica 26, il lunedì mi sono spostato a nord e il martedì mattina ero a Olinda, una città coloniale (a 6 km da Recife) famosa per il suo originale carnevale e lì mi sono fermato per l’ultimo giorno di follie (sotto una veduta della città e della gente per strada). In realtà non era l’ultimo giorno, perché ho scoperto che la festa continuava pure mercoledì e magari non si è ancora conclusa (a Olinda sono ufficialmente undici giorni di baccanali, strappi alla regola esclusi)....

Sono scappato da Olinda mercoledì a mezzogiorno e mezzo, mentre la proprietaria dell’appartamento dove ho pernottato, una rasta scatenata, mi stava ancora imboccando di pesce e feijoada e offrendo lattine di birra. Ma il tempo del mio carnevale si era purtroppo esaurito, ho un mese per tentare di arrivare in Messico.

A Salvador de Bahia sono approdato macinando in due giorni da Brasilia circa 1.500 km. È stato uno slalom da videogioco tra le voragini dell’asfalto e i camion provenienti in senso contrario. Con un caldo soffocante (41 gradi, record del mio raid in Sudamerica).

Erano le 15 di giovedì, mi sono diretto al Pelourinho che è il centro storico di Salvador,ma tra la segnaletica insufficiente e il traffico caotico ci sono arrivato che era quasi sera, sfiancato.

Il blocco della circolazione era ancora parziale, così ho potuto parcheggiare il fuoristrada un paio di ore in centro. Ho commesso subito una leggerezza che ho pagato, ma è stata l’unica in quattro giorni, per cui non posso lamentarmi: un giovane a cui stavo dando la mancia per controllarmi il Land Cruiser miha strappato dalle mani le banconote (errore, avrei dovuto estrarre dalla tasca soltanto la moneta) ed è scappato. Non l’ho rincorso perché credevo fosse soltanto l’equivalente di 4 euro, mi sono accorto invece che erano 10. Pazienza.

Sono stato abbordato da una brasiliana molto espansiva che ho liquidato in un quarto d’ora, ma mi è stata preziosa perché mi ha indicato un hotel dignitoso e conveniente (25 euro) in una viuzza adiacente Piazza da Sé. Rintracciato un parcheggio per la notte, mi sono tuffato nella marea umana e per un pelo non ci ho rimesso l’orologio che un ladruncolo ha tentato di strapparmi prima che mi divincolassi. Ci sono state anche un paio di risse, subito sedate a furor di manganello dai caschi bianchi della polizia militare.

La prima sera è stata d’esperienza, ho intuito che il carnevale a Salvador («Il cuore del mondo batte qui», il motto del 2006) può essere pericoloso (le cronache hanno parlato di due morti sul circuito Barra-Ondina e un migliaio di furti denunciati), ma che è sufficiente un minimo di raziocinio e di strategia per non aver nulla da temere.

Durante il carnevale, trasmesso in diretta nazionale da Rede Band, hanno operato 10.000 uomini delle forze dell’ordine (più di 3.000 per turno). La polizia militare, efficiente e sbrigativa, si muoveva ordinata in squadre numerate ed era dappertutto, garantiva sicurezza, anche se era impossibile tenere totalmente sotto controllo centinaia di metri di folla. La scenetta più bella l’ho vista quando dalla polizia si sono precipitati una donna abbastanza in carne che si lamentava di essere stata molestata pesantemente e il suo focoso ammiratore arrabbiato e con lo zigomo destro sanguinante perché la donna si era difesa con un bel pugno.

Per me è stato un carnevale da «pipoca» che in portoghese vuol dire popcorn. Il «pipoca» è chi si diverte in strada senza appartenere a nessun «bloco» (centinaia di persone con un look identico) e senza accedere ai «camarones» che sono i palchi più o meno lussuosi da dove ci si può godere comodamente lo spettacolo. Se a Rio de Janeiro il simbolo del carnevale sono le scintillanti sfilate delle scuole di samba al sambodromo (è stato l’anno di gloria di Vila Isabel con una coreografia dedicata all’unità dell’America Latina), a Salvador de Bahia sono i trios elétricos che percorrono lentamente i circuiti del carnevale tra ali di folla in delirio che beve, canta e si dimena al ritmo di canzonette orecchiabili e abbastanza ripetitive.

Se si appartiene al «bloco» che sta sfilando, si può ballare all’interno di un cordone umano davanti, ai lati e dietro il camion, in caso contrario ci si deve limitare a spostarsi qualche metro più il là. Sulla scia dei bestioni di acciaio luccicante, alimentati a biodiesel, delle star (come Ivete Sangalo, Daniela Mercury e gli Afrodisiaco, il fenomeno del momento con la loro «Café con Pao») si concentra il maggior numero di giovani ed è dove il rischio di incidenti è abbastanza elevato. I camion delle associazioni carnevalesche sono meno discoteche e più carri allegorici legati alla tradizione, alla culturale alla musica afro.

Ho potuto dunque ammirare costumi bellissimi (ma purtroppo abbastanza casti...), bande di percussionisti e professionisti della capoeira, una spettacolare danza acrobatica, nata come arte marziale degli schiavi.

Naturalmente nelle ore diurne ci sono anche i carri allegorici dedicati ai bambini che sono vere e proprie pesti, armati di bombolette di schiuma. La città si ferma per il carnevale. Avevo il flash della fotocamera digitale che non funzionava, ma è stato impossibile ripararla.
Quasi tutte le saracinesche dei negozi sono inesorabilmente abbassate e in ogni angolo spuntano bar e venditori ambulanti, così il rifornimento di carburante è assicurato (una lattina di birra 60 centesimi di euro). Così come erano garantiti i preservativi, distribuiti gratuitamente da volontari. Venerdì 24 sono stato sul circuito cittadino «Avenida». Si è rivelato il più turbolento: quando s’avvicinava un camion diventava impossibile camminare, la folla era travolgente. Nei momenti più infuocati tentavo sempre di non allontanarmi dalla polizia che una volta mi ha fermato per controllare lo zainetto, come se fossi io l’individuo pericoloso. Io che avevo infradito, bermuda in jeans mezzi strappati, una canottiera verde con la scritta blu «Nana Banana» (residuo di un vecchio «bloco» dei Chiclete con Banana, una famosa band baiana), un cappello in jeans con un fiore giallo e un’aria assolutamente innocente.

Sabato 25, dopo un paio di ore sotto l’ombrellone dove ho conosciuto un brasiliano che mi ha scortato per una sera, ho scelto il circuito che si snoda in riva al mare, il «Barra-Ondina». Ho atteso invano che sull’Expresso 2222 di Flora Gil (moglie di Gilberto Gil, ministro della Cultura) si materializzassero gli U2, reduci da due concerti a Sao Paulo (Bono and company erano invece apparsi la sera prima in compagnia del ministro, peccato). Alle 23 erano sfilati dal faro di Barra la metà dei 20 camion in calendario, la kermesse si sarebbe conclusa verso le 6 di mattina, ma io ho mollato verso le 2,30 di notte e ho impiegato più di un’ora per rientrare in hotel perché mi sono scontrato con i fan del circuito cittadino.

Domenica 26 è stata dedicata al circuito storico, il minore dei tre, che, dal confine sud del Pelourinho, va a piazza Castro Alves, un punto in cui la temperatura balza alle stelle perché lì convergono il circuito storico e quello cittadino. I camion-carri allegorici del circuito storico erano sovrastati dai camion-discoteche del circuito cittadino, ma quando sono comparsi i Figli di Gandhi, la più famosa e numerosa associazione carnevalesca(esclusivamente maschile), la piazza si è compattata e si è colorata del blu di migliaia di turbanti, così come le arterie di collegamento: un colpo d’occhio formidabile.

Ho parlato di circuiti, ma in realtà Salvador è una serie infinita di carnevali alternativi, di piazze con concerti, di artisti di strada. E di bambini e vecchi che perlustrano metro per metro per individuare lattine vuote e racimolare qualche real. Eh sì, perché Salvador, nonostante l’allegria del carnevale, è una città di due milioni e mezzo di abitanti con gravi problemi economici e sociali. Quasi accantonati per una settimana.
Il Pelourinho, il vecchio centro di tortura e di smistamento degli schiavi, è il cuore antico di Salvador con le sue splendide chiese: è dove si vede il maggior numero di maschere, nascono sfilate e spettacoli spontanei, c’è un’atmosfera più intima anche se inevitabilmente turistica, ci sono negozietti di artigianato e locali notturni, è dove le donne Baianas con le loro caratteristiche tuniche bianche cucinano l’acaraje, che è una polpetta fritta di fagioli ripiena di frutti di mare e di salsa di pomodoro, schiere di parrucchiere creano acconciature con le treccine. Ed è dove mi sono imbattuto in Gianni Comandini, sì, proprio lui, l’ex atalantino, e in Tamara, una spagnola che aveva avuto la disavventura di essere sul mio fuoristrada quando si è fermato di sera con il differenziale anteriore rotto sulla strada per Campo Grande. Ho salutato Salvador lunedì mattina (non oso immaginare cosa sia successo martedì) e per l’ultimo giorno di carnevale ho optato per Olinda, città sull’Oceano Atlantico nello stato del Pernambuco.

Con l’aiuto di una guida ho scovato una casa di privati che affittavano una stanza (40 euro) e così sono potuto entrare con il fuoristrada in centro, dove il traffico era vietato.
È stata una scelta positiva spostarsi da Salvador perché l’atmosfera coloniale diOlinda, con le sue vie in collina, si sposa splendidamente con un carnevale che, a differenza di Salvador, è un’esplosione di goliardia. C’è più spazio per la fantasia e l’improvvisazione, per il divertimento da «Amici miei».


Non c’è quasi nessuno che non sia in maschera, è come ridiventare bambini. Qui sonouomini corpulenti in costume da bagno a girare con le bombolette di schiuma e con mitra ad acqua, molti si travestono da donne (un classico anche di Salvador), le fanciulle ammiccano con un look succinto, qui ci sono i giganteschi pupazzi di cartapesta che irridono i politici, si vedono circolare Bin Laden, Bush con ilnaso da clown, Gesù Cristo, personaggi naturalmente finti intervistati da giornalisti finti con telecamere di cartone e microfoni di spugna.

È un grande gioco, una commedia dell’arte, sempre corredata da fiumi di birra e da isolate risse.

Qui la musica preferita è il frevo, di origine pernambucana, che ha un ritmo vertiginosoed è un po’ il padre dei trio elétrico. Ho tirato le 2 di notte e la mattina dopo, alle 10, in salotto c’era già una marea di persone, amici e conoscenti dei padroni di casa, che beveva birra, alternandola a bicchierini di brodo caldo della feijaoda (!), e impazzava il samba.

Non ho potuto rifiutarmi e mi sono unito all’allegra brigata. A mezzogiorno sul muretto tra la casa e la strada è stato improvvisato uno spuntino, sono comparsi whisky e caipirinha. A mezzogiorno e mezzo sono scappato....

Marco Sanfilippo

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