A Serina testimone di una strage

Giuseppina Somaschini scoprì l’omicidio di madre e tre figli a Milano La novantenne in villeggiatura rivela: nel ’46 Rina Fort aveva un complice

Sessant’anni dopo l’omicidio più efferato compiuto nella Milano del Dopoguerra,l’ultima testimone vivente di una vicenda ancora oscura, finita con il massacro a sprangate di una mamma e i suoi tre figlioletti (qui a destra), torna a parlare della pagina più insanguinata del capoluogo lombardo. Il caso sconvolse l’Italia e in tanti lo ricordano con il nome dell’assassina Rina Fort, la «belva di via San Gregorio»: uccise per gelosia, era l’amante del marito della vittima. A distanza di tanti anni, un filo lega quel capitolo orrendo della storia del crimine alla Bergamasca. Un filo che porta a Serina, da Giuseppina Somaschini, Pinuccia (a sinistra), la donna che aprì la porta dell’appartamento e scoprì l’efferato delitto. Novanta primavere portate con incredibile energia, l’anziana signora risiede due mesi all’anno nelle nostre vallate, e ora vuol tornare a parlare di quella tragedia e dei suoi convincimenti che, di fatto, ripropongono un mistero.Era il 1° dicembre 1946 quando lei aprì quella porta maledetta scoprendo la strage. Fuori faceva freddo. Il grigiore della Milano socialista era colorato dalle luci di Natale. I milanesi guardavano alla Scala restaurata e facevano la fila alla nuova Fiera campionaria. Una tranquillità lacerata dalla notizia del crimine diffusa dalle radio e sbattuta a caratteri cubitali sulle prime pagine dei quotidiani. Per quei delitti, Rina Fort(a destra) pagò con l’ergastolo.«Però guardi, Rina non può aver compiuto quel massacro da sola. Aveva un complice». Pinuccia Somaschini allarga le braccia e lo dice a grande voce. Sessant’anni dopo, lei si arrovella ancora. E chi sarà stato il complice?«Hanno interrogato centinaia di persone per quella vicenda. Se non l’hanno trovato fra loro, allora potrebbe essere ancora in giro. Ma chissà, chi può dire quanti anni aveva quel complice nel 1946 all’epoca dei delitti?».«Rina Fort» è diventato pochi mesi fa il titolo di un libro a fumetti. La casa editrice BeccoGiallo ha così riaperto l’interesse della gente verso la «belva» e la tragedia di via San Gregorio.Cosa accadde quella mattina?«Come tutte le altre, ho salito il primo piano della casa per andare dai Ricciardi a prendere le chiavi del negozio, dove lavoravo come commessa. La porta però era accostata, socchiusa. Ho chiamato varie volte, ma non ho avuto risposta. Allora ho messo la faccia nell’appartamento e ho visto quella scena agghiacciante. Il bambino più piccolo era ancora sul seggiolone con la testa rotta grondante di sangue».Poi è uscita a chiedere aiuto, ma lei aveva già in mente la soluzione del caso.«Certo, ho capito subito che c’entrava Rina Fort. Il rapporto fra lei e il Ricciardi era noto. È stata chiamata e portata sul posto. Quando ha visto i cadaveri ancora a terra, la Fort ha detto: ma come, mi avete chiamato per questo?. Una frase pazzesca. Ma dopo qualche ora di interrogatorio ha ammesso di aver ucciso lei la donna».E i tre figlioletti?«Il mistero sta tutto qui. Non può aver fatto tutto da sola quel macello. Sicuramente dev’esserci stato qualcuno con lei. E tutti quelli messi sotto torchio poi sono stati lasciati andare. Per me, il complice potrebbe essere ancora vivo, se allora fosse stato giovane, diciamo sui 25-30 anni».E perché allora non è stato trovato?«Questo proprio non lo so. Sarà stato abile a nascondersi o a fuggire. Ma francamente è solo una mia ipotesi. Non saprei dire altro».Lei in che rapporti era con la Fort?«Nessuno in particolare. Ci conoscevamo perché lavoravamo nello stesso negozio del Ricciardi, ma non ci frequentavamo».Cosa ricorda della Fort?«Quando era in carcere, mi ha fatto avere a casa tramite un suo amico ciclista un regalo. Mio padre appena ha saputo che era stato mandato dalla Fort lo ha cacciato a malo modo. Aveva avuto un bel coraggio la Fort, ma anche il suo amico. Un gesto assurdo e insulso».Ogni giorno quotidiani e tv riportano notizie tragiche. Questi fatti le fanno rivivere quei momenti?«No. Una volta il mondo era diverso. La società più giusta, più umana e quei fatti proprio per la vita quotidiana assolutamente normale suscitavano scalpore e rumore forti. Oggi tutto è cambiato. Non mi meraviglio di niente». Ma lei è sempre stata così vulcanica e coraggiosa?«Cosa vuole, io ho 90 anni e ho avuto tutto dalla vita. Probabilmente sono stata fortunata. Ho lavorato sodo nell’azienda di mio madre e nella mia famiglia, ma non mi è mai mancato nulla. La gente mi conosce e mi vuole bene, soprattutto i bergamaschi, quelli di Serina».E quindi l’aiutano anche nelle cose quotidiane?«Faccio tutto da sola. Lavo, stiro e mi preparo da mangiare. Non ho bisogno della domestica. E quando devo andare a Bergamo, Monza o Milano prendo la mia auto e parto. Viaggio con una Mazda e non ho mai fatto un incidente. Ho preso solo qualche multa dalla polizia stradale per eccesso di velocità. Mi piace correre un po’. Adesso lascio Serina e corro a Campione. Vado al casinò, gioco a baccarat o black jack. A 90 anni qualche divertimento potrò pur averlo».Emanuele Roncalli(10/09/2006)

© RIPRODUZIONE RISERVATA