Addio all’Africa, si va in Argentina

BUENOS AIRES (ARGENTINA) - Dalle 18,34 italiane di domenica 14 novembre la mia nuova casa è diventata il Sudamerica. Decollato da Cape Town, in Sudafrica, con un Boeing 747-400 della Malaysia Airlines, sono atterrato all’aeroporto Ezeiza di Buenos Aires (nella foto a lato il centro della città), in Argentina, dopo nove ore. Ci sono cinque ore in meno di differenza di fuso orario tra Argentina e Sudafrica (quattro con l’Italia), ma la stagione non cambia, si va verso l’estate, anche se qui c’è qualche grado in meno (siamo sui 20) e qualche nuvola in più.

Mi sento un po’ orfano perché la mia Toyota Land Cruiser per il momento è in un garage della Elliott company di Cape Town, in attesa di essere infilata in un container per la spedizione via mare. Originariamente la nave sarebbe dovuta salpare il 12 novembre, invece il giorno prima di consegnare il fuoristrada mi è stato comunicato che la partenza era stata spostata al 19, cosicchè il mio tempo di permanenza a Buenos Aires è destinato inevitabilmente a dilatarsi.


Calcolando che la traversata durerà undici giorni e che si parla di almeno una settimana per i controlli doganali, dovrei fermarmi a Buenos Aires come minimo 25 giorni. Un’esagerazione, anche se potrei iscrivermi a un corso di tango....

La mia idea, ma sto scrivendo queste note senza avere ancora il quadro preciso della situazione, è di restare a Buenos Aires una decina di giorni, in modo da potermi dedicare seriamente a recuperare il terreno perduto nel racconto del viaggio sul sito internet (non mi sono scordato che sono rimasto alla frontiera tra Zambia e Zimbabwe, ma stavolta mi è sembrato giusto dare la precedenza al cambio di continente), visitare la metropoli, non perdermi un derby di calcio nella «Bombonera» e tentare di intervistare qualche vecchio giocatore, e successivamente dedicare due settimane al Brasile (pullman e zaino in spalla), prima di rientrare a Buenos Aires per riabbracciare il fuoristrada e continuare il raid verso la Patagonia e la Terra del Fuoco con un collega del giornale che dovrebbe atterrare in Argentina nei primi giorni di dicembre.

Il problema più urgente da risolvere è comunque inerente le tasse esorbitanti per ritirare il fuoristrada. Mi sembra incredibile che debba pagare 660 euro di spese portuali e 660 per i controlli doganali, considerato che importo il Land Cruiser in Argentina soltanto temporaneamente. Ho due giorni di tempo per scoprire se c’è una soluzione più conveniente e comunicarla alla Elliott che fino a mercoledì può cambiare i documenti di viaggio e il nome dell’agente che curerà le pratiche burocratiche al porto di Buenos Aires.

Intanto, ho scovato un ostello, l’El Cachafaz, nel centro della città a due passi da Plaza de Mayo, dove pago l’equivalente di 6 euro per un dormitorio a sei letti con la colazione e l’accesso a Internet gratis. Buenos Aires ha un’incredibile struttura a scacchiera, con una massa di cemento che nasconde i tesori artistici e architettonici. E qui sono tutti pazzi per il calcio. Ma ne riparleremo.


Accompagnata all’aeroporto la mia amica italiana, con cui ho visitato per venti giorni (5.000 km) un Sudafrica (sopra l’ultima fotografia scattata nel Continente nero) forse più deludente di quanto mi attendessi, ho trascorso la mia ultima sera a Cape Town a casa di Stefano Marmorato, il rappresentante del Cesvi in Sudafrica, cenando alla mozambicana in compagnia di Paolo Fattori, un milanese giramondo come me che sta lavorando in una Ong in Sri Lanka, e due studentesse universitarie sudafricane poco più che ventenni ferratissime in politica e fino alle tre di notte ho scritto e ordinato sul computer le fotografie digitali nella cucina dell’ostello in compagnia di un gatto.

Prima di rientrare a Cape Town, mi ero imbattuto a Kimberley nella spedizione di Donnavventura, il raid in fuoristrada nell’Africa Australe che hanno realizzato le vincitrici di una dura selezione (a Clusone il palcoscenico delle finali nello scorso giugno) e che sarà trasmesso verso Natale da Retequattro (sotto una fotografia in compagnia delle partecipanti).


La mia avventura africana si è esaurita e ci vorrà del tempo per rielaborare pensieri, emozioni e sentimenti. Per il momento posso solo dire che sono stati 119 giorni e 28.724 chilometri molto intensi, gratificanti e talvolta stressanti. Non so ancora se accuserò il mal d’Africa, quella nostalgia insopprimibile che colpisce numerosi viaggiatori dopo un’esperienza nel continente nero. Ma sicuramente sulla mia pelle resterà qualcosa di più resistente dell’abbronzatura, qualcosa di nero.

Marco Sanfilippo

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