Alcol, droghe e gioco d’azzardo
La famiglia aiuta ma è anche colpa sua

L’8% di chi gioca d’azzardo pensa di poter gestire l’esito del gioco grazie alla sua abilità, ma quando c’è una dipendenza è la famiglia, in 9 casi su 10, a spingerlo ad iniziare un trattamento.

E il ruolo e il sostegno dei familiari è decisivo in tutte le terapie di contrasto anche alle altre dipendenze, come quella da alcol, fumo, droga e i disturbi del comportamento alimentare. E’ quanto emerge dai dati presentati giovedì 6 ottobre all’Istituto Superiore di Sanità ad un convegno sulle dipendenze patologiche.

La dipendenza dal gioco d’azzardo «è un campanello d’allarme, soprattutto nei giovani - spiega Roberta Pacifici, direttore dell’Osservatorio Fumo Alcol e Droga dell’Iss -. Sono già oltre 19mila gli utenti presi in carico per questo disturbo e la famiglia ha un ruolo centrale in questo tipo dipendenze. Nella maggior parte dei casi la familiarità ha un ruolo nell’insorgenza del comportamento patologico».

Il peso delle abitudini familiari è importante anche nella relazione dei giovani con l’alcol. «Il 25% dei ragazzi di 11-17 anni, che vivono in famiglie dove almeno un genitore ha dei comportamenti a rischio nel consumo di alcol, hanno anche loro abitudini alcoliche non moderate», aggiunge Monsignor Andrea Manto, responsabile per al pastorale familiare della Diocesi di Roma.

Altri studi presentati al convegno indicano inoltre che una relazione difficile con la madre è un elemento di rischio nello sviluppo di dipendenza da cannabis, e che essere controllati dai propri genitori nelle spese settimanali, soddisfatti del rapporto con i propri fratelli e il fatto che questi non consumino droghe sia un elemento protettivo. Così come un ruolo cruciale la famiglia ce l’ha disturbi alimentari.

«Attualmente in Italia 3 milioni di famiglie lottano contro i disordini alimentari - rileva Laura Dalla Ragione, Direttore Usl Umbria 1 per i Disturbi del Comportamento Alimentare in età pediatrica -. Il 10% sono famiglie con pazienti sotto i 14 anni, perché si è abbassata moltissimo l’età di insorgenza, e cercano disperatamente strutture di cura, pochissime e al Centronord».

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