Anche al fuoristrada danno cittadinanza egiziana

LUXOR (Egitto) - La frontiera tra Libia ed Egitto come il Far West (giudizio della Lonely Planet). Beh, a Sallum non c’era i pistoleri, ma entrare in Egitto si è rivelato un mezzo incubo, soprattutto per strappare i documenti per l’importazione temporanea della Toyota (un salasso inatteso: circa 150 euro). E dire che, salutati senza intoppi la Libia dopo 3.146 km e Saleh, la nostra guida (fondamentale nelle pratiche burocratiche), l’approccio con l’Egitto era stato confortante con il "Welcome" del soldato in avanscoperta e la curiosità generale per l’adesivo che abbiamo sul cofano con il percorso del giro del mondo.

La trafila per il timbro sul visto è stata veloce (anche perché abbiamo usufruito, pur senza pretenderlo, di una corsia privilegiata e un po’ ce ne siamo vergognati), ma la fila che abbiamo evitato era pazzesca. Polvere, caldo esagerato, caos indescrivibile, furgoncini che avevano un’altezza doppia del normale per il carico pericolosamente pendente, mendicanti, vecchi a piedi che trascinavano sacchi della spazzatura con dentro forse tutta una vita, bambini che tentavano un furterello ed erano rincorsi dalla polizia con il manganello in mano, urla, botte e spintoni per superare i controlli personali e delle merci con il metal detector. Non Far West, ma quasi.

I problemi si sono materializzati nel momento in cui abbiamo dovuto dare al fuoristrada la cittadinanza egiziana. Primo controllo ok, un doganiere ha osservato la confusione che c’era nella jeep e ci ha congedato subito con un «Goodbye» che ci ha illuso. La realtà è stata ben diversa. In estrema sintesi le varie tappe (con molte

incomprensioni): controllo del carnet de passage, ispezione meccanica del fuoristrada con annotazione del numero del motore, seconda ispezione all’interno della jeep con nuova telenovela sulle banana-radio, che abbiamo dovuto... sbucciare e accendere davanti ai doganieri, prima incursione nei labirinti lerci dell’edificio principale e prima entrata nell’ufficio del funzionario che ci ha comunicato la cattiva notizia (i 150 euro da pagare), fermatina nella banca (sì, proprio da Far West) dove abbiamo cambiato 200 dollari per pagare le tasse in un ufficio ancora diverso, seconda puntatina dal funzionario che ci ha invitato a fare un passeggiata di duecento metri sotto il sole per le fotocopie dei documenti, ritorno dal funzionario che però era a pranzo.

Attesa, l’ok e nuova camminata per ritirare la targa temporanea, quarta visitina dal funzionario e finalmente abbiamo potuto assolvere all’ultimo obbligo: il ritiro della patente temporanea, non prima di aver cambiato ancora i dollari in banca perché nel frattempo avevamo già esaurito le sterline egiziane. Fissata la targa con il filo metallico e superati due ulteriori controlli del passaporto, dopo quattro ore abbiamo potuto organizzare la nostra volata verso il Cairo. Purtroppo nessuna foto di Sallum, eravamo un po’ indaffarati...

Una premessa. Quanto abbiamo progettato il viaggio, ci siamo preoccupati esclusivamente di fissare i Paesi da attraversare, se avevano problemi di conflitti e in quanti giorni si potevano visitare. Così abbiamo pensato seriamente alla terra dei faraoni solo il giorno prima divorando guida e cartina. Abbiamo dovuto sacrificare l’Egitto, soltanto sei giorni, perché il traghetto per il Sudan (500 euro per la cabina e la Toyota, una mazzata) c’è una sola volta alla settimana e non possiamo perdere l’appuntamento dell’8 agosto ad Addis Abeba, in Etiopia, con un nostro amico, con cui tenteremo l’ascesa al Kilimangiaro, in Tanzania.

Al Cairo il corrispondente di Avventure nel mondo ci aveva prenotato l’hotel, ma dovevamo arrivare in tempo alla sua agenzia. Un’impresa, considerando che erano ormai le 14, dalla capitale ci separavano circa 700 chilometri e avremmo dovuto immergerci nel traffico pazzesco del Cairo con il mano soltanto un indirizzo.

Ancora deserto, ma con maggiori rilievi rocciosi di quello libico. Nei primi paesini che abbiamo incrociato il mezzo di trasporto più usato è il carretto con l’asino, ma ben presto l’Egitto è diventato occidentale con i cartelloni pubblicitari dei colossi europei e Usa (inesistenti in Libia), Vodafone e Pepsi in prima fila. Strade scorrevoli, per lo più a doppio senso di marcia con un tratto autostradale a pagamento, gasolio sempre a buon mercato (un litro l’equivalente di dieci centesimi di euro, come in Libia), nessun controllo ferreo, nonostante il recente attentato di Sharm el-Sheikh.


Era tardi, ma non abbiamo potuto non fermarci al bellissimo e commuovente sacrario militare italiano di El Alamein, dove - nella stessa piana desertica che fu teatro di tre sanguinose battaglie nella Seconda Guerra Mondiale - riposano 4.634 caduti del nostro Paese, di cui 2.187 ignoti.

A 3 km da El Alamein, sulla destra della strada, c’è un cippo con lapide che ricorda la massima avanzata italo-tedesca prima della controffensiva alleata. La scritta

dice: «Mancò la fortuna, non il valore».


Alle 21 siamo entrati al Cairo, una delle metropoli più grandi del mondo con i suoi 17 milioni di abitanti ed è stato il panico: traffico inimmaginabile, ai confini della follia (ancora non crediamo come abbiamo evitato un incidente) e informazioni insufficienti. Dopo un’ora di spaventi, stavano per desistere e fermarci al primo albergo, quando l’ultimo tentativo è stato positivo. Abbiamo domandato per l’ennesima volta indicazioni e un giovane poliziotto si è offerto di accompagnarci visto che aveva appena concluso il suo turno.


Ebbene, nemmeno lui sapeva rintracciare l’agenzia, ma non si è perso d’animo e dopo quasi due ore, a mezzanotte, l’abbiamo scovata. Ormai era chiusa, ma nel frattempo Hani Hanna, il corrispondente, ha risposto al cellulare e i problemi si sono risolti. Ma il poliziotto gentile, non ci ha abbandonato - nonostante avesse a casa na moglie e una bambina che lo reclamavano (parlava malissimo inglese, ma ci siamo capiti) - e ha atteso Hani con noi fino a quasi l’una di notte. Non ha voluto nemmeno una sterlina egiziana, si è messo una mano sul cuore dicendo che era un poliziotto ed era suo dovere aiutare un turista. Non lo dimenticheremo.

È stato Hani a scortarci al Cosmopolitan Hotel (nella foto a lato), nel cuore del Cairo. Entrati in stanza, siamo crollati addormentandoci con le chiavi della jeep in mano.

P.S. È stato pezzo soffertissimo, l’abbiamo dovuto interrompere due volte: la prima perché il convoglio per i turisti con scorta armata da Safaga a Luxor ha anticipato la partenza e la seconda perché la polizia ci ha costretto a spostare ripetutamente la macchina parcheggiata fuori dall’Internet point di Luxor. E alla fine abbiamo scoperto che la Redazione Web non aveva ricevuto l’email, ma stavolta...

(31/07/2005)

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