Beni confiscati alla mafia
La burocrazia blocca i progetti

Sono ville, appartamenti, terreni, capannoni. Beni una volta della malavita, ora di proprietà dello Stato che li usa a fini istituzionali o li assegna ai Comuni per scopi sociali.

La confisca è un colpo alla criminalità organizzata, che così arretra dal controllo del territorio, ed è linfa per le attività economiche lecite e il welfare. Il meccanismo, però, ora si è inceppato, perché da mesi l’Anbsc (l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata) è ferma: la presidenza del Consiglio dei ministri non ha ancora emanato il decreto di nomina del Consiglio direttivo, e quindi l’attività è in stand by. Un ritardo denunciato da «Libera», l’associazione contro le mafie di don Luigi Ciotti, che ha ricadute anche nella nostra provincia.

In Bergamasca sono 28 gli immobili (appartamenti, box e capannoni), una volta in mano soprattutto a spacciatori e usurai, ma anche a esponenti legati alle cosche (come a Suisio), sequestrati. La maggior parte è già stata assegnata ai Comuni, «che li hanno utilizzati in proprio oppure, tramite bandi, affidati a cooperative o associazioni con scopi sociali», spiega Sebastiano Di Salvo, responsabile dei Beni confiscati di «Libera» Bergamo, ricordando i recenti casi positivi di Berbenno e Terno.

Ma anche da noi la macchina burocratica bloccata sta provocando il ritardo di alcuni progetti, che attendono solo il via libera centrale. Come a Gorlago. Qui, Comune e Asl, hanno già pronto il piano per fare diventare una villetta (con tre box e del terreno), un tempo proprietà di una banda di zingari, uno spazio autismo per l’intera zona.

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