Badanti quintuplicate in 10 anni
Ma due su tre lavorano senza contratto

Lavoratrici domestiche migranti: in Italia si prendono cura di un milione di anziani, ma 2 su 3 sono senza tutele. In occasione della Giornata Internazionale dei Lavoratori domestici Soleterre presenta alla Sala del Refettorio della Camera dei Deputati il rapporto «Lavoro domestico e di cura. Buone pratiche e benchmarking per l’integrazione e la conciliazione della vita familiare e lavorativa». Nel documento anche una fotografia della condizione delle assistenti familiari straniere in Italia, tra diritti negati e famiglie spezzate.

Sempre più famiglie in Europa affidano la cura dei propri cari – minori, anziani, disabili – e della propria casa a lavoratori domestici e di cura. Si tratta per la maggior parte di migranti, soprattutto donne, spesso vittime di discriminazioni multiple sul fronte dei diritti e della protezione sociale.

Un fenomeno sempre più rilevante: per questo Soleterre, in collaborazione con Irs – Istituto per la Ricerca Sociale, ha condotto un progetto di ricerca-azione finanziato dal Fondo Europeo per l’Integrazione che - a partire da una ricognizione su quantità, modalità di lavoro e condizioni di vita di queste lavoratrici - ha recensito, analizzato e sperimentato buone pratiche e politiche riguardanti le lavoratrici domestiche e di cura migranti in Italia ed Europa. Da questa indagine è scaturito il rapporto «Lavoro domestico e di cura: Buone pratiche e benchmarking per l’integrazione e la conciliazione della vita familiare e lavorativa».

Dall’indagine emerge una sostanziale differenza a livello europeo: nei Paesi con migrazione fortemente regolata e servizi di cura pubblici ben strutturati, i lavoratori domestici e di cura – anche stranieri – sono occupati prevalentemente in forma regolare (ad es. in Danimarca, Regno Unito e Francia); in quelli con un’offerta più debole di servizi assistenziali e regimi migratori meno gestiti, l’assunzione è invece a titolo individuale e spesso irregolare (ad es. Spagna, Grecia e Italia). Anche se, a fronte di una crescente domanda sociale, si stanno moltiplicando le iniziative di Enti Locali e del privato sociale.

Nel nostro Paese si stimano oltre 830 mila badanti, un numero considerevole se paragonato a quello dei dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale che si attesta intorno alle 646 mila unità. La maggior parte delle badanti è di origine straniera (ben il 90%) e lavora senza contratto. Sul totale, infatti il 26% è costituito da lavoratrici che non hanno un regolare permesso di soggiorno, il 30,5% da lavoratrici con permesso regolare senza contratto mentre solo il 43,5% lavora in regola.

La condizione di irregolarità (nei permessi di soggiorno e nel contratto di lavoro), il riconoscimento solo parziale dei diritti e la difficoltà a conseguire l’autonomia abitativa sono i tre fattori che incidono maggiormente sulla qualità di vita e sulla possibilità di conciliazione vita/lavoro di queste lavoratrici. In particolare incidono sulla possibilità di attuare un ricongiungimento con i propri figli: troppo spesso ci si dimentica, infatti, che la maggior parte delle assistenti familiari ha dovuto lasciare il Paese d’origine per mantenere se stesse e le proprie famiglie ed è costretta a vivere lontana dai propri figli (i c.d. orfani bianchi). Una situazione che crea profondo disagio psicologico nelle donne (dal 2006 nei paesi dell’Est si è cominciato a parlare di «sindrome Italia» per definire lo stato depressivo di molte badanti rientrate dopo anni di lavoro nel nostro Paese) e anche nei loro bambini/ragazzi favorendo l’insorgenza di comportamenti a rischio sociale ed educativo.

«In Italia gli occupati in questo settore – dice Alessandro Baldo, responsabile Programma Migrazioni di Soleterre - sono quintuplicati in meno di 10 anni, soprattutto per via dell’aumento delle lavoratrici straniere, con un numero di anziani assistiti che si può ragionevolmente stimare intorno al milione. Un contributo fondamentale e preziosissimo al fabbisogno di servizi di cura e di assistenza familiare che la nostra società – in costante invecchiamento – denota. Eppure è un’occupazione ancora percepita come qualcosa di diverso dal lavoro «regolare», quasi un «non lavoro»: culturalmente si fatica ad evolversi dalla considerazione di un’attività caratterizzata da rapporti informali e totalizzanti. Per questo, oltre che all’adozione di normative che garantiscano le tutele di queste lavoratrici, occorre sensibilizzare gli enti locali e le famiglie che si avvalgono del loro servizio a riconoscerne e tutelarne le condizioni di benessere psico-sociale e di conciliazione dei tempi di vita, famiglia e lavoro. Oltre a riconoscere l’impatto sociale e il debito di cura che tale sistema genera come ricaduta sulle società di partenza».

Il rapporto e i risultati del progetto verranno presentati e discussi nelle giornate del 15 e 16 giugno a Roma, nel corso di due incontri organizzati in occasione della Giornata Internazionale dei Lavoratori Domestici” (16 giugno).

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