Evasione da record:
emergenza sociale

Centoundici miliardi l’anno: è la cifra, sommate tutte le varie voci, mancante alle entrate fiscali del nostro Paese nell’anno 2014. I dati del 2015 non sono ancora noti, anche se evidenziano un timido miglioramento di 3,9 miliardi, che ci riporterebbe ai livelli, comunque assolutamente indecorosi del 2012. Sono i numeri messi in fila da un’inchiesta pubblicata da Repubblica e che rincarano quelli impietosi resi noti qualche giorno fa da Bruxelles, riguardanti l’evasione dell’Iva: il differenziale fra l’Iva dovuta e quella effettivamente pagata sfiora il 30 per cento: 29,7.

Che tradotto in cifra significano 40 e passa miliardi. Sostanzialmente un quinto dell’Iva non pagata in Europa è italiana. E c’è da arrossire di vergogna nel sapere che la Francia è al 15% e la Spagna addirittura al 3,9%. Per di più l’attività degli esattori perde colpi, con un misero 1,13% di somme dovute riscosse, contro il 17% della media europea.

Insomma siamo di fronte a quello che non è semplicemente un malcostume ma è ormai una vera emergenza nazionale. In che termini lo sia, lo ha evidenziato Papa Bergoglio parlando agli imprenditori dell’Economia di Comunione nel febbraio scorso. Riferendosi all’evasione ha detto che «prima di essere atti illegali sono atti che negano la legge basilare della vita: il reciproco soccorso». Non pagare le tasse dovute, insomma, incrina quel decisivo patto di solidarietà su cui si regge qualsiasi sistema di convivenza.

L’evasione fiscale infatti produce due effetti alla lunga devastanti: riduce le entrate necessarie per far funzionare la macchina statale e il sistema di welfare; in secondo luogo distorce la distribuzione del carico fiscale e dei benefici ricevuti a sfavore di chi sceglie di non evadere, o comunque non ha la possibilità di farlo. Cioè, chi paga onestamente le tasse non può ricevere i servizi per i quali ha pur versato il contributo dovuto.

Quindi è doppiamente penalizzato: ha pagato secondo aliquote che restano tra le più alte d’Europa proprio perché troppo alto è il tasso di evasione da compensare. E per di più non può contare sui servizi che gli spetterebbero.

Come ha spiegato Federico Spandonaro, docente di Economia sanitaria e presidente del Crea, il Consorzio per la Ricerca Economica Applicata in Sanità, «in Italia il 50% del gettito Irpef è pagato da appena il 10% della popolazione. Detta in un altro modo, un italiano che paga le tasse correttamente tiene da solo sulle spalle il welfare di molti, troppi connazionali».

Un peso in realtà insostenibile, come dimostra il fatto, che, come svelano i dati del Crea, «solo il 60% degli italiani riesce a coprire con l’Irpef versata la propria quota capitaria sanitaria finanziata dallo Stato tramite la fiscalità generale». Questo accade perché chi paga in realtà non paga solo per sé ma paga per tutti. Avviene insomma una sorta di redistribuzione all’incontrario, dai contribuenti onesti agli evasori.

A questo punto l’evasione fiscale non pone solamente sul tavolo una pur gravissima questione di onestà. Diventa di fatto una emergenza sociale. Non pagare significa mettere a rischio quel sistema universalistico di welfare che garantisce a tutti il diritto alla salute. Con una fiscalità che rischia di non essere più in grado di garantire la copertura delle spese sanitarie, accadrà che solo chi ha risorse economiche proprie potrà rifugiarsi nella sanità privata.

Paradossalmente, tra questi «fortunati» ci saranno anche coloro che evadendo hanno preservato una disponibilità di risparmi. Siamo di fronte ad una vera e propria patologia che non è mai stata combattuta seriamente dalla politica nel timore di perdere consensi elettorali. L’idea che davanti ad uno Stato ingordo il cittadino sia legittimato a difendersi ad esempio attraverso l’infedeltà fiscale, è un alibi duro a morire.

Al punto che spesso induce ad un atteggiamento di «perdonismo»: nel 2016 gli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate sono precipitati del 33,8%, da 301 mila a 199 mila. È vero che tante volte abbiamo visto lo Stato accanirsi in modo ingiusto proprio nei confronti di chi le tasse già le paga e ne paga anche tante. Ma forse è arrivato il momento di affrontare la questione fiscale mettendo al bando quei «se» e quei «ma» che hanno fatto la fortuna dei furbi.

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