Genitori a 60 anni
Una vicenda paradossale

Da qualunque parte la si prenda questa è una storia dove nessuno è vincitore e dove ci sono solo sconfitti. La vicenda è quella dei due anziani coniugi di Mirabello, paese nei dintorni di Casale Monferrato, che nel 2010 si «regalarono» una figlia con il metodo della fecondazione artificiale eterologa (cioè con donazione di ovuli da parte di un’altra donna), pur essendo ormai decisamente fuori età: lei 57 anni, lui 68. In Italia questo nel 2010 non era possibile, ma si poteva ricorrere a cliniche estere. Dal 2014 l’eterologa è possibile anche in Italia.

La lunga vicenda giudiziaria dei genitori-nonni, coniugi De Ambrosis, era iniziata nel 2013, quando il tribunale aveva tolto loro la bambina, affidandola ad un’altra famiglia, anche sulla base di segnalazioni arrivate dai vicini. Il papà era anche sospettato per un episodio di abbandono in macchina della piccola. Da allora sono stati ben cinque i gradi di giudizio, dall’andamento ondivago, che si sono conclusi ieri, con la seconda sentenza della corte di Cassazione che conferma l’adottabilità della bambina. E potrebbe non essere finita qui, perché l’avvocato della coppia ha annunziato di voler impugnare il provvedimento.

È una vicenda paradossale in ogni senso. È paradossale che due persone a quell’età non solo pensino contro ogni ragionevolezza, ma possano concretamente diventare genitori. È una sorta di impazzimento permesso dalla tecnica, che in qualche modo purtroppo qualifica la tecnica stessa; una riduzione quasi consumistica della genitorialità, dove il figlio può essere voluto o rifiutato a seconda del piacere del papà e della mamma. I due coniugi in un certo senso sono vittime di questo sistema che spaccia per libertà quelli che sono veri e propri arbitri.

Si resta vittime del sistema, però, anche perché profondamente immaturi a dispetto dell’età. Ed è questa la tesi che nei vari gradi di giudizio alla fine è prevalsa. È prevalsa anche quando le accuse sui casi specifici di incuria della bambina sono cadute e i genitori sono stati assolti. Come i giudici siano arrivati a questa valutazione lo si potrà scoprire leggendo le migliaia di pagine degli atti processuali. Sarà utile capire che relazione c’è tra queste valutazioni e quelle degli assistenti sociali che, negli anni precedenti alla nascita della bambina, avevano per due volte dichiarato inadeguata la coppia all’adozione nazionale e poi internazionale. Era stata poi una segnalazione proprio dei servizi sociali, 35 giorni dopo la nascita della bambina, ad allertare per la prima volta il tribunale con una richiesta di un provvedimento «immediato e urgente a tutela del minore».

C’è da pensare che i servizi sociali avessero serie preoccupazioni, per spiegare tanta fretta. Preoccupazioni per altro non percepite né condivise dalla comunità locale, che si è sin dall’inizio schierata dalla parte della coppia, con tanto di presa di posizione pubblica anche del sindaco.

La sensazione è che in questa storia, alla prima forzatura di cui sono responsabili i genitori, ne sia seguita un’altra ad opera dei servizi sociali. Nel 2013, anche in seguito a quei sospetti di incuria, rivelatisi infondati, la bambina era stata data in affido. A quel punto il caso ha imboccato una direzione obbligata, non solo per ragioni di coerenza da parte dei giudici, ma anche per l’interesse della bambina («il superiore interesse del minore»), la quale aveva ormai un’altra famiglia, la stessa che oggi potrebbe avviare il procedimento di adozione. Ha prevalso la logica della continuità affettiva, una logica naturalmente ben condivisibile. In questa vicenda dove tutti escono sconfitti, c’è solo da sperare che la vita ci dica, che almeno lei, bambina oggi e donna domani, non ha perso.

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