I profughi bambini

Sapete? Sempre più spesso mi capita di pensare ai bambini. Io non ho avuto figli, ho vissuto questa dimensione in modo vicario: i miei nipoti, i figli di amiche o amici.

Tuttavia penso che il figlio o la figlia sia un accadimento nel quale tu senti messa in discussione la tua identità, quando guardi negli occhi un neonato sai che è un altro, che sarà, nel bene o nel male, una sorpresa per la tua vita. Non sarà mai, per fortuna, totalmente quello che spereresti e, tuttavia, sarà sempre te stesso. Potremmo dire che, proprio perché lui o lei è una novità assoluta per te, che sovverte la tua vita sin dall’inizio, sarà la tua speranza, la tua gioia, la tua soddisfazione e, anche, la tua sofferenza. Le mamme sono esperte di queste cose. Anche i papà, ma le mamme, come dire, le sentono nelle viscere queste esperienze.

È come dire, per un genitore che, sin dall’inizio, io sono l’altro che è nato. E da qui scaturisce la cura, la preoccupazione, da parte dei genitori nei confronti dei figli, che dura tutta una vita. L’ho sperimentato quando è morto mio padre, io già adulto, lui anziano. Io con una vita già ormai avviata e scelta, lui sul finire della vita. Eppure, un giorno, quando ho avuto un incidente stradale, è venuto al pronto soccorso per riportarmi a casa e per accompagnarmi il giorno dopo a celebrare la Messa domenicale. La sua morte è stata per me come la recisione di una radice per una pianta, un sentirmi proiettato brutalmente nella vita, senza più il riferimento di colui che mi aveva generato. Anche se tutto ciò è accaduto quando io ormai ero persona adulta.

Di questi giorni, mesi, mi ha colpito una cosa. Noi non vogliamo guardare ai bambini dei profughi, in particolare a quelli che sono soli, perché i loro genitori sono stati divorati dal viaggio disperato che hanno intrapreso per venire sino a noi. Non vogliamo vedere questi bambini che si ammalano, che non hanno il necessario per vivere, che spariscono, presi non si sa da chi e per cosa. Anche la Gran Bretagna ha respinto la richiesta di asilo per migliaia di bambini soli. Qualche mese fa una mamma, non so di quale nazionalità, non si è nemmeno accorta che stava trascinando il cadavere di suo figlio mentre marciava disperatamente verso un confine europeo. E penso ai genitori morti, alzando le mani sulle acque, forse sperando che almeno i figli giungessero a destinazione, quasi come fossero loro stessi a raggiungere la meta, come la madre di Mosè, che lo salva dalla morte mettendolo i una cesta e affidandolo al Nilo. E i bombardamenti di questi giorni a Aleppo, in Siria. Bombe sganciate su un ospedale pediatrico.

Noi non vogliamo vedere una sola realtà: stiamo soffocando la speranza di migliaia di persone, perché abbandoniamo i piccoli, i fragili, quelli che lasciamo nascere nel fango di un campo profughi improvvisato, quelli che vengono fatti sparire da circoli criminali per non si sa quali fini. Non lo so, io cerco di mandare aiuti quando posso, ma dov’è l’Europa? Dov’è l’Occidente tutto. Anche il presidente Obama, insieme a altri governanti, fanno molte prediche, ma dov’è la nostra civiltà? Possibile che non siamo capaci nemmeno di ricevere la speranza di tutti coloro che muoiono in questo esodo disperato? Non ci occupiamo di curare i bambini che si ammalano, sfoggiando la scusa che se ne devono occupare i paesi di arrivo che, spesso, come la Grecia, non hanno la possibilità di far fronte a queste emergenze? Non lo so, nemmeno i bimbi riescono a vincere le nostre paure. Eppure noi siamo il continente che ha creato la cura e l’educazione dei bambini, perché ne ha scoperto la dignità. L’indifferenza ha forse soffocato anche questa bellissima tradizione? Io continuo a sperare che non sia così.

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