Il caso di Crespi
bussola del Paese

Sabato prossimo il presidente della Provincia e il sindaco di Bergamo vanno a Crespi d’Adda e incontrano la prima cittadina di Capriate San Gervasio. Il villaggio operaio è una risorsa per il Paese, per la Lombardia, per la provincia di Bergamo e quindi anche per il Comune capoluogo.

Per più di vent’anni nessuno ne ha parlato. Un bene storico lasciato deperire nell’ignavia generale di un Paese dimentico a se stesso. Allora vi erano le risorse finanziarie, e anche se l’economia non cresceva le banche straripavano di denaro a tassi agevolati. Ma non c’è stata istituzione oppure un operatore privato in grado di attivarli.

Adesso qualcosa si muove. Viene fatto notare dagli addetti ai lavori che è la prima volta che le istituzioni si muovono in modo coordinato, e già questo vale la notizia. Alla tavola rotonda partecipano anche esperti, uomini delle professioni ed è aperta al pubblico. Manca il presidente della Regione, ma già così è una buona partenza.

Ciò che sinora è mancato non sono i politici, ma le idee. Scambiare opinioni, misurare la fattibilità dei progetti ma soprattutto avere un piano di sviluppo del territorio in cui inserire la valorizzazione di Crespi d’Adda. Attualmente un privato ha iniziato l’opera di risanamento, e dopo decenni di incuria la popolazione gliene è grata. È pur sempre qualcosa rispetto al nulla.

Ma manca un progetto complessivo sul quale confrontarsi. Le esigenze dei privati devono essere legittimate dal rispetto verso chi rischia di suo e giustamente desidera veder remunerato il suo impegno, anche finanziario. Ma deve essere chiaro che gli imprenditori portano responsabilità, oltre che verso la propria azienda, anche verso la società.

Perché questo dovere non diventi fine a se stesso occorre che gli interlocutori istituzionali siano in grado di offrire una strategia complessiva che coniughi l’interesse privato con il bene del territorio. L’area dell’opificio è grande e si presta a diverse utilizzazioni. Va bene come sede amministrativa e anche produttiva.

Occorre però definire quali sono le priorità. Di cosa ha bisogno il Paese, soprattutto nella sua parte industrialmente e culturalmente più sviluppata? Quali sono i concorrenti con i quali la manifattura lombarda deve confrontarsi? Qual è il tallone d’Achille che ha reso il Paese in tutti questi anni non competitivo?

La risposta è una sola : lo sviluppo tecnologico, l’innovazione, la multidisciplinarietà del sapere, in breve la ricerca scientifica e la formazione. Viviamo un territorio dove negli ultimi decenni si è sviluppata una miriade di piccole imprese, di artigiani, che hanno dato lustro a quella che è la connotazione tipica lombarda e in particolare bergamasca: la laboriosità.

Non a caso anche la lingua rispecchia questa intrinseca predisposizione etica: se si vuol offendere qualcuno basta dirgli che non ha voglia di lavorare. Ma questo repentino passaggio dal mondo agricolo a quello imprenditoriale è avvenuto all’istante, senza alcuna fase di passaggio. L’apertura delle frontiere e dei mercati ha esposto questo popolo di operatori d’impresa ad una concorrenza internazionale che non si può addomesticare.

L’improvvisazione non basta più, occorre la preparazione. Una lacuna che l’Italia solamente ora verifica in tutta la sua portata. Ma il problema non sta nel non sapere, quello si può acquisire nel tempo con iniziative mirate di cooperazione tra privati e/o con le istituzioni. Basta organizzarsi. La vera ignoranza è quella di chi non sa dove andare. Abbiamo bisogno di una bussola e Crespi può aiutarci a trovarla.

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