Il suo nome non è (James) Bond
ma lo 007 italiano ha successo

Gli italiani si fidano della nostra Intelligence: 6 cittadini su 10 si esprimono in tal senso. E ritengono si debba conoscere di più e meglio il ruolo del Sistema di Informazione per la Sicurezza della Repubblica nella lotta alle minacce di terrorismo e «lupi solitari», cyberwar e attacchi al know-how delle nostre imprese.

Lo rivela un’indagine dell’Eurispes. I canali attraverso i quali la pubblica opinione più spesso viene informata e si informa sul lavoro e sulle attività dei nostri servizi è la televisione (35,5%). Seguono a distanza quotidiani e riviste (17,4%), le informazioni presenti sul web (13,9%) e la programmazione radiofonica (13,6%). Minoritaria è la quota di quanti hanno tratto informazioni o notizie sull’Intelligence attraverso l’approfondimento e la lettura di libri o saggi.

La maggioranza dei cittadini in ogni caso sottolinea la scarsa chiarezza nella rappresentazione che i media forniscono rispetto al ruolo e alle attività dei servizi per la sicurezza (72,6%); non solo, considerando il compito svolto in difesa della sicurezza nazionale, i mezzi di informazione dovrebbero parlarne di più dando maggiore spazio all’argomento per il 53,2% dei cittadini. Il 31% degli intervistati ritiene che lavorino dietro le quinte per garantire la sicurezza dei cittadini e il 17,7% afferma che il loro lavoro è scarsamente considerato, pur essendo molto importante.

Partendo dall’importanza delle attività svolte in difesa della sicurezza nazionale, la convinzione che questo sia un settore fondamentale per il nostro Paese (24,2%) e il desiderio di essere informati su tutto (29%) sono i motivi per i quali tali argomenti dovrebbero trovare uno spazio più ampio e una maggiore rappresentazione sui mezzi di informazione. Non manca comunque chi non ha alcun interesse per l’argomento (7,1%) e non ritiene quindi di dover chiedere una informazione più approfondita.

Nel corso degli anni è accaduto che cittadini italiani siano stati rapiti in Paesi in guerra per mano di terroristi e successivamente liberati. Agli intervistati è stato domandato a chi, a loro giudizio, va attribuito il merito della liberazione e del rientro in patria dei nostri connazionali. Per il 22,3% il merito è dell’attività sotterranea dei nostri servizi che hanno operato nelle zone calde; per il 21,8% delle forze e delle capacità delle nostre Istituzioni diplomatiche (ministero degli Esteri, ambasciate presenti nei diversi Paesi); per il 18,6% della capacità della nostra Intelligence di collaborare con i Servizi di altri Paesi. Il 10,6% cita invece il ruolo delle organizzazioni internazionali, il 7,9% l’azione diretta e i contatti dei capi di Governo. Un cospicuo 18,8% non è in grado di pronunciarsi in merito.

Da tempo l’Intelligence recluta 007 anche all’interno delle Università tra gli elementi più preparati in discipline tecnico-scientifiche oltre che, come da tradizione, tra il personale delle Forze dell’ordine (Carabinieri, GdF, Polizia) e tra le Forze Armate (Esercito, Marina, Aeronautica). Per il 38,6% degli intervistati bisognerebbe creare un mix, potendo contare sull’esperienza delle forze di polizia e militari insieme a nuove figure professionali ricorrendo al serbatoio delle Università, dei centri di ricerca e anche ai concorsi pubblici; il 36,5% considera invece corretta la nuova strategia perché la nostra è ormai una realtà complessa e occorrono analisti, tecnici, informatici, studiosi delle diverse discipline (dagli esperti di cyber ai linguisti) che sappiano anticipare scenari politico-economici e contribuire a risolvere le situazioni di crisi; il 24,9% afferma, infine, che non è il modo corretto: occorrerebbe invece continuare ad utilizzare appartenenti alle Forze dell’ordine e militari perché quello dei Servizi Segreti è un mestiere pericoloso e loro sono più preparati.

Al campione è stato domandato anche come reagirebbe se il proprio figlio volesse entrare a far parte dei Servizi di informazione. Il 36,3% approverebbe senza riserve la scelta; il 16,9% la accetterebbe, pur disapprovando; il 12,6% la disapproverebbe. Il 6,8% afferma che sosterrebbe la scelta del figlio perché si tratta della carriera che egli stesso avrebbe voluto intraprendere a suo tempo. In molti però non hanno risposto alla domanda (27,4%). Complessivamente quindi il 43,1% di quanti sosterrebbero il proprio figlio nell’intraprendere questo tipo di carriera prevale sul 29,5% che esprime un atteggiamento negativo, probabilmente anche per il timore che questa professione possa comportare dei rischi per l’incolumità personale e la necessità di lavorare all’estero per lunghi periodi.

Infine una curiosità: il personaggio di James Bond, nato dalla mirabile penna di Fleming e approdato alla versione cinematografica negli anni Sessanta del secolo scorso per arrivare ai giorni nostri con l’ultimo episodio in fase di realizzazione, è una pietra miliare nella rappresentazione letteraria dell’agente segreto. Nella maggioranza dei casi, gli intervistati riconoscono che questa è una figura romanzata, che ben poco ha riscontro con la realtà (47%), mentre sono in molti a ritenerla una via di mezzo, dove la finzione si ispira comunque alla realtà (30,5%). Solo il 6,8% ha idea che Bond sia il prototipo dell’agente segreto e lo rappresenti in tutte le sue capacità e sfaccettature. Una parte consistente del campione non ha saputo o non ha voluto esprimere un giudizio al riguardo (15,7%).

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