«Volontaria per salvare
mio figlio dalla droga»

«Quando torno a casa di notte, ogni giovedì, dopo essere stata a Nembro all’Associazione Amici di San Patrignano per incontrarmi con i volontari e le altre famiglie, sorrido. Finalmente sorrido».

È Annarosa Ceriani che racconta, mamma di un ragazzo che da 2 anni è accolto nella Comunità di San Patrignano e sta compiendo un percorso per «ritrovare la parte migliore di sé, sepolta sotto droga e alcol, ma soprattutto resa sterile dalle sue paure di vivere».

«L’Associazione Amici di San Patrignano ci ha accolti quando eravamo a brandelli, divorati da anni di tossicodipendenza, disperati e incattiviti da ciò che avevamo vissuto» spiega Anna. E Anna li ha contati i giovedì in cui ha percorso questa strada, sono esattamente 112, ciascuno con la propria storia, non sempre facile. Ogni volta quello che si fa è soprattutto ascoltare, nel rispetto delle esperienze di ciascuno: «I ragazzi raccontano le fatiche ad altri ragazzi che hanno vissuto la stessa esperienza, e i genitori fanno lo stesso con altri genitori. È un gruppo di auto mutuo aiuto». E così da utenti si diventa volontari, «è il bello di questa associazione: da persona bisognosa di aiuto diventi persona che può dare aiuto». Le famiglie che continuano a frequentare in modo assiduo l’associazione diventano così nuova linfa per le famiglie che si approcciano a questa realtà per la prima volta.

Un passaggio significativo: «Mi ha aiutato a capire che anche io ho delle risorse anche se non sapevo più riconoscerle. Risorse che prima ho utilizzato per riprendermi e per rimettere in sesto la mia famiglia. Poi una volta riscoperte, ho iniziato a metterle a disposizione anche degli altri». E a partire da questi momenti l’impegno prosegue con incontri nelle scuole e negli oratori con genitori e ragazzi, perché la lotta al disagio passa anche dalla prevenzione, ci spiega: «Una delle cose importanti è mettersi in rete prima, ed è per questo che abbiamo iniziato a lavorare sul territorio». Un impegno che Anna ha assunto con il tempo, in modo graduale: «Nessuno ti forza e questo è la cosa più importante. Dai del tuo quando te la senti. Il primo passaggio è stato quello di riacquistare la propria dignità» spiega. «Vivere un figlio o un fratello con gravi problemi di tossicodipendenza vuol dire lentamente essere complici e perdere la dignità, perché facciamo cose che non avremmo mai pensato di poter fare, come denunciare nostro figlio o saldare i suoi debiti finanziando così l’illegalità. La prima opportunità è proprio quella di togliere il fango insieme alle altre famiglie che hanno vissuto la stessa esperienza. Se ci mettiamo insieme ce la facciamo, noi ce l’abbiamo fatta e quindi ce la farete anche voi: è questo il messaggio dell’associazione». Una bella riscoperta dopo anni di cose brutte: nasce così il bisogno di comunicarlo anche ad altri, di fargli sapere che hanno loro potranno farcela. Un nuovo impegno da volontari per aiutare chi vive le stesse sofferenze che hai vissuto anche tu.

© RIPRODUZIONE RISERVATA