La confessione c'è ma non basta
Rapinatore assolto per un cavillo

Il verbale dell'ammissione c'è, ma non poteva essere utilizzato a processo per un vizio di procedura. E così il reo confesso della tentata rapina a un ristoratore e il suo presunto complice sono stati prosciolti per non aver commesso il fatto.

Il verbale dell'ammissione c'è, ma non poteva essere utilizzato a processo per un vizio di procedura. E così il reo confesso della tentata rapina a un ristoratore e il suo presunto complice sono stati prosciolti per non aver commesso il fatto.

Paradossale? Sì, se ci si affida esclusivamente alla logica; no, se si tiene conto che la nostra giustizia prevede una serie di garanzie per l'indagato che vanno comunque osservate, anche se a volte assomigliano ad assurdi cavilli.

L'episodio accade la sera del 23 maggio 2010. Un ristoratore cinquantenne chiude il suo locale di Ponte San Pietro, inforca lo scooter e con i seimila euro di incasso fa ritorno all'abitazione di Palazzago. Il tempo di scendere di sella e gli si fanno incontro due tipi mascherati con passamontagna: uno gli punta un taglierino, l'altro - in italiano stentato - gli intima «Soldi, ristorante».

Il cinquantenne però reagisce, mettendoli in fuga. Partono le indagini dei carabinieri di Ponte San Pietro, che riescono a risalire a due bergamaschi: M. S., 40 anni, di Petosino, frazione di Sorisole, e M. P. 26 anni, di Bergamo. Il primo ammette e racconta come sarebbe andata quella sera.

Ma i carabinieri, che hanno mostrato fiuto investigativo, inciampano nel codice di procedura penale. Durante la confessione, quando viene sentito a sommarie informazioni in presenza dell'allora difensore, si dimenticano di ricordare a M. S. i suoi diritti di indagato (quello di avvalersi della facoltà di non rispondere, in primis). E così tutto sfuma...

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