«La Selca un’enorme discarica
per rifiuti speciali di tutto il mondo»

La Selca era un’enorme discarica per rifiuti speciali provenienti da tutto il mondo ma funzionava come una qualsiasi piattaforma ecologica comunale: per smaltire i rifiuti, dovevi pagare.

E poi l’azienda li rivendeva, guadagnandoci così due volte. Anzi tre perché, questa è l’accusa del processo che a Brescia vede imputati i fratelli Ivano e Flavio Bettoni, gli ex titolari dell’azienda di Berzo Demo, i rifiuti non venivano neppure trattati a dovere.

Lunedì mattina 18 gennaio in Tribunale è finalmente entrato nel vivo il processo che vede i due imprenditori camuni alla sbarra con l’accusa di falso e di traffico illecito di rifiuti. Interrogati gli agenti del Corpo forestale dello Stato e i militari della Guardia di finanza che hanno indagato sui traffici della Selca fra il 2002 e il 2010.

Il primo a parlare in aula è stato l’assistente capo della Forestale William Stival che ha ricostruito il ciclo dei rifiuti provenienti dall’Australia: «La multinazionale Tomago ha spedito a Marghera due navi da 8 mila tonnellate ciascuna cariche di rifiuti provenienti dalla demolizione delle celle elettrolitiche prima impiegate per la produzione dell’alluminio. La Tomago pagava alla Selca, per ogni tonnellata che questa ritirava, 145 euro; in più la multinazionale australiana si accollava l’intero costo della spedizione transoceanica».

Stival ha effettuato due sopralluoghi all’interno della Selca, potendo così osservare da vicino gli impianti ma in nessun caso questi erano in funzione: «Ci dicevano che erano fermi per manutenzione o per piccoli guasti; in pratica non abbiamo mai visto funzionare nulla».

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