Le Caritas della Lombardia
«Immigrazione, così non va»

«Si spendono soldi, energie e tempo, ma con scarsi risultati». Per i direttori lombardi le «normative sono da rivedere, la Bossi-Fini va superata».

La denuncia è chiara e precisa: sull’immigrazione così non va. E non è solo una questione di soldi. I direttori delle Caritas della Lombardia hanno firmato un documento assai critico sullo «stato dell’immigrazione», sia nella Regione, ma anche a livello nazionale. Lo proponiamo integralmente.

Le Chiese e le Caritas lombarde sono impegnate nell’accoglienza dei migranti richiedenti-asilo (cosiddetti profughi, termine generico e piuttosto impreciso) sia in convenzione con le Prefetture su finanziamento del ministero dell’Interno, che fuori convenzione, con spese totalmente a proprio carico (ad esempio per le persone uscite dai Centri di accoglienza straordinari, arrivate nei Centri di ascolto delle povertà, nelle mense, per le docce, nei dormitori o in altri Centri di accoglienza non convenzionati). Questa esperienza ha generato un impegno dei fedeli, delle comunità cristiane e delle persone non fatto di parole, ma con il coinvolgimento concreto in azioni di carità, secondo il dettato del Vangelo e l’incessante insegnamento di Papa Francesco. Un impegno che mobilita tanti volontari, specie nelle situazioni di maggiore emergenza e difficoltà, con effetti rilevanti anche dal punto di vista educativo per le stesse persone impegnate.

In una logica sussidiaria, con grande senso di lealtà e di responsabilità, le Caritas diocesane hanno dato seguito anche alle attese dello Stato e delle Istituzioni, in difficoltà nel dare una risposta ai bisogni (nella tabella in allegato i dati più recenti delle nostre attività). Un impegno contraddistinto dal senso di responsabilità nella gestione delle significative quote di denaro pubblico ricevute, da impiegare con assoluta correttezza e trasparenza; da uno stile di ospitalità diffusa, a piccoli gruppi, in Parrocchie e in ambienti di proprietà ecclesiastiche, d’intesa e in collaborazione con il volontariato e le comunità locali, in un percorso attento anche alla massima responsabilizzazione delle persone ospitate e delle comunità ospitanti.

In questo impegno si sono evidenziate alcune criticità, a partire dall’alta percentuale di dinieghi alla richiesta di asilo. Un alto numero di persone accompagnate dalle Caritas lombarde, dopo mesi e mesi di attesa, si sono ritrovate alla fine del percorso convenzionato senza permesso di soggiorno, ancora bisognose di assistenza, ad alto rischio di permanenza nei territori in condizione di clandestinità, con tutto ciò che ne consegue e ne può conseguire in termini di dignità, di salute a rischio, di sicurezza per le stesse persone e per le comunità ospitanti. Preoccupano inoltre anche nei nostri territori le manifestazioni e le recrudescenze di intolleranza ideologica, persino potenziate da movimenti politici.

Le Chiese e le Caritas lombarde pongono dunque una domanda ed un appello forte alle Istituzioni: a quel destino vengono consegnati i migranti salvati dal naufragio nel Mediterraneo? Si sta manifestando infatti una grave incongruenza tra il tempo, le energie e le risorse impiegate nel soccorso in mare e il risultato conseguito. Bisogna quindi pensare e mettere in pratica nuove soluzioni, che non si costruiscono evidentemente con i muri, né, come è stato ipotizzato, con l’affondamento delle imbarcazioni nei porti di partenza, con le espulsioni, e, tantomeno, con la propagazione dell’odio e del conflitto pseudo-religioso.

Bisogna prendere seriamente atto che è in corso un esodo internazionale di grandi proporzioni, il più grande dopo la Seconda guerra mondiale. Il fenomeno di lunga durata va affrontato con una politica che superi definitivamente la logica emergenziale e contingente. Riguarda uomini, donne e minori in fuga da guerre e conflitti etnici, ma anche da situazioni insostenibili di povertà, inoccupazione, crisi ambientale, ecc…La gran parte non è dunque costituita da potenziali «rifugiati» nel senso pieno contemplato dalle leggi. Ma tutti i migranti sono accomunati da motivazioni molto forti: scappano e si imbarcano spendendo i loro pochi soldi, ben consapevoli dei rischi che incontrano. Tanti, troppi, tra loro, sono i morti che si contano. Sanno quel che lasciano, ma hanno ancora scarsa consapevolezza della dura realtà che incontrano nei Paesi occidentali, spesso idealizzata per effetto delle “fascinazioni” ricevute in patria. E tuttavia, quando non viene accolta la loro richiesta di asilo, dovrebbero essere rimpatriati: ciò è un enorme paradosso per la politica del nostro Paese, oltre che una sconfitta personale inaccettabile per gli interessati. Rimpatriare costa molto e servono accordi ad hoc (che non ci sono). Per ciò non viene fatto (se non in pochissimi casi).

Certo, costa molto anche accogliere. Ma dopo aver accolto per mesi e anni siamo convinti che è davvero uno spreco di energie (ad es. nelle esperienze di integrazione, nei corsi di italiano, nell’avviamento al lavoro, ecc.) e di risorse (denaro pubblico e delle comunità locali) «congedare” queste persone» sulla strada”, lasciandole senza prospettive e perciò esponendole a grave rischio di emarginazione, sfruttamento da parte di organizzazioni illegali e a condizione di pericolo per sé e per la popolazione.

Con lungimiranza e coraggio, chi ha responsabilità politiche dovrebbe considerare i benefici, attuali e in prospettiva, che la posizione dei migranti regolari può portare al nostro Paese: economici e demografici (cfr. dati Istat sulla popolazione in Italia recentemente pubblicati). La società civile e i cittadini vanno debitamente informati di tutto ciò, preparati e incoraggiati a vivere esperienze sostenibili di ospitalità, convivenza e inserimento sociale. In tal senso il fenomeno profughi andrebbe riconsiderato nel quadro di una nuova legge sull’immigrazione, con il superamento della Bossi-Fini (e dell’impianto della stessa legge 40 del ’98), specie dell’inserimento dell’inaccettabile e inapplicabile “reato di clandestinità”. In tutti questi anni abbiamo infatti già visto peraltro gli effetti negativi della mancanza di meccanismi legali di ingresso e di misure congiunte di rimpatrio effettivamente praticabili. E’ il momento di contemplare una maggiore “libertà di migrare”, secondo i principi del Magistero della Chiesa. Il che non comporta necessariamente più immigrati, almeno più di quanti non siano dati dal corso della storia contemporanea.

Proposte e istanze

Di fronte a un fenomeno storico internazionale di tale portata, nessuno è evidentemente in grado di proporre facili e rapide soluzioni - prive di costi da sostenere (non solo economici) - a problemi di enorme complessità. Neppure ovviamente la Chiesa le possiede. E tuttavia, alla luce del Vangelo e del Magistero, avvalendosi delle esperienze quotidianamente maturate, le Caritas delle Diocesi lombarde sentono di dover esprimere al livello politico qualche indirizzo e premurosa istanza.

•vanno interpellati infatti - riconoscendo tutte le difficoltà del caso - il pensiero e l’intervento della politica ai più alti livelli istituzionali: delle Nazioni Unite, dell’Europa, del nostro Stato, della nostra Regione e degli Enti locali.

•Il nostro interlocutore fondamentale resta tuttavia lo Stato Italiano per le competenze che, in materia di immigrazione, esercita direttamente o ha facoltà di trasmettere.

•Alla Regione Lombardia va tuttavia il particolare appello delle Chiese/Caritas lombarde per la ricezione dello spirito di queste note e per la massima collaborazione tra livelli istituzionali nella ricerca del maggior bene delle comunità.

•A questi livelli ci rivolgiamo per dire che la distinzione tra (potenziali) rifugiati e non rifugiati non regge più. O meglio: la misura di discrimine adottata (sin dal 2011) non l’abbiamo mai condivisa. Oggi siamo tutti meglio in grado di vedere gli esiti dell’applicazione di tale discrimine, con i problemi e i rischi che stiamo dichiarando pubblicamente.

•Le Caritas lombarde invitano a considerare attentamente la sorte di tutti i migranti forzati. Non può bastare l’encomiabile salvataggio prestato loro in mare e/o nelle situazioni di pericolo estremo di sopravvivenza.

•Pensiamo vada prestata a tutti i migranti l’assistenza essenziale per un periodo di tempo, finalizzandolo a successive possibilità di conseguimento di un titolo di permanenza, in vista di un potenziale inserimento sociale, in Italia e in Europa, andando a valorizzare e a “premiare” l’impegno di ciascun migrante.

•Può evidentemente permanere il percorso per il conseguimento dello status di rifugiato per chi lo richieda e manifestamente provenga dalle situazioni già contemplate, allo scopo, per legge. Accelerando e semplificando l’iter burocratico che oggi, nonostante gli sforzi, prende mesi e anni (tra commissioni e ricorsi) per giungere a conclusione.

•A chi è già giunto negativamente a conclusione dell’iter, quindi senza permesso e, di per sé, con obbligo di rimpatrio, può essere concesso, ovviamente - per chi accetta e ne assume la responsabilità - un permesso di carattere umanitario a tempo prestabilito (es. un anno) con spiccate finalità di studio-formazione e di ricerca lavoro, incentivando Enti di terzo settore e privati (anche famiglie) ad offrire la garanzia transitoria dell’alloggio.

•Solo in un molto più ristretto numero di casi (impossibilità di asilo, mancata accettazione delle opportunità, fallimento del progetto migratorio…) andrebbe applicata la misura del rimpatrio. Ma poi andrebbe effettivamente eseguita raggiungendo accordi con i Paesi di provenienza e potenziando il rimpatrio assistito in condizioni di sicurezza e nel rispetto della dignità delle persone.

•Con tali criteri andrebbe decisamente riorganizzato e finanziato il sistema di accoglienza: innanzi tutto trasformato da straordinario (attuale modello Cas) in permanente (sul modello Sprar), come peraltro dichiarato negli intenti del ministero degli Interni. Pensando per lo più a piccole strutture di accoglienza (ad esempio di massimo 10 persone), quanto più diffuse e radicate nei quartieri e nei territori, con il mandato di preparare un’effettiva ed utile integrazione.

•Per perseguire la finalità, lo Stato dovrebbe ricercare maggiormente il coinvolgimento delle comunità locali, trasferendo competenze e risorse agli Enti locali, specie ai Comuni. Nella misura in cui sono le comunità e i Comuni a «volere» e a godere di incentivazioni e benefici, è quanto più possibile questo tipo di immigrazione. Non mancano esperienze positive in atto. In questo senso l’opera di corretta informazione, sensibilizzazione e coinvolgimento dell’ opinione pubblica è di fondamentale importanza. Le Istituzioni potrebbero contare sulla collaborazione «educativa» delle Caritas delle Diocesi lombarde, già in questo impegnate.

•Lo stesso approccio di accoglienza viene chiaramente auspicato ed atteso in tutti i Paesi europei (e forse non solo europei) in grado di ricevere e di beneficiare di nuova e giovane immigrazione. Una ricollocazione tra i Paesi che pure consideri le aspirazioni e i legami parentali dei migranti, con incentivi europei proporzionati a chi più accoglie, è senz’altro da incoraggiare.

•La «libertà di migrare», correttamente intesa, secondo la Dottrina sociale della Chiesa, non significa tralasciare le condizioni di possibilità perché i potenziali migranti possano dignitosamente restare nel Paese in cui sono nati. Ben vengano dunque misure di sostegno dell’Europa, per quanto tardive, ai principali Paesi di provenienza. Purché non intese in termini di pure costrizione e di repressione. Su questo la Chiesa non potrà mai essere d’accordo.

•Il momento storico, oltre che le convinzioni del cuore, ci incoraggiano a suggerire una maggiore disponibilità ed apertura istituzionale all’accoglienza, convertendo l’emergenza in pianificazione degli ingressi in maniera quanto più sicura. Si può perciò con più coraggio incentivare l’ingresso «mirato», per casi di particolare necessità ma anche per potenzialità, attraverso i «canali umanitari», dai campi degli sfollati nelle zone più calde e geograficamente più vicine del nostro Paese.

•Quanto qui espresso necessariamente porta all’esigenza di una complessiva rivisitazione dei meccanismi di legge che regolano l’immigrazione in Italia e, come già sopra auspicato, il definitivo superamento dell’impianto della legge Bossi-Fini.

• Un’ultima nota non può che riguardare la delicata condizione dei migranti minori non accompagnati (sempre più giovani anche di 12-13 anni): con grande apprensione e commozione assistiamo all’incremento dei numeri, alle difficoltà di collocazione nei centri di accoglienza deputati, alle «sparizioni» di molti di loro. Anche e particolarmente sui minori chiediamo alla nostra Regione un grande sforzo di umanità e di investimento sul futuro per quanto questi giovani possono dare al nostro Paese. La via, ancora, ci appare quella dell’accoglienza, incrementando piccole e diffuse strutture accreditate allo scopo, con spiccate finalità di integrazione, sostenendo i Comuni disponibili.

Conclusione

Le energie che le Chiese/Caritas delle Diocesi lombarde stanno, per natura propria, profondendo per la accoglienza di migranti forzati nel nostro Paese e nei nostri territori, in questo momento davvero storico, le motiva ad offrire ai livelli politici- istituzionali e all’opinione pubblica in genere, con rispetto, lealtà, ma pure con determinazione, rilievi e «parole nuove» per un coraggioso approccio al fenomeno migratorio: strutturalmente più aperto, capace di dare risposte immediate a problemi altrimenti gravi e insolubili e, in prospettiva, a generare una comunità quanto più integrata, non solo per il bene dei migranti, ma anche per il bene e lo sviluppo dei territori. «Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici… con convinzioni chiare e tenaci». (Evangelii gaudium).

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