L’omicidio mascherato da martirio
non è altro che la distruzione dell’altro

Nell’Europa io ho creduto fortemente. Alle prime elezioni del parlamento europeo io ho partecipato, da militante, ero da poco maggiorenne. La mia formazione politica viene dallo studio di De Gasperi, quindi potete immaginare cosa penso e come sento l’Europa.

Credo ancora nell’idea di un’Europa unita, sono felice quando i miei studenti riescono a trascorrere periodi di studio prima o dopo la laurea in un paese europeo, perché ritengo che quelle esperienze fanno crescere, aiutano a sentirsi parte di una comunità civile e scientifica più grande. Oggi, devo dire la verità, l’attacco terroristico a Bruxelles mi ha devastato, perché io sento i morti e i feriti di quella città come miei fratelli, persone con le quali condividiamo un cammino, quello dell’unità nella diversità che ha sempre caratterizzato questo continente ricco di cultura e memoria.

Il dolore mi sale al cuore per tutti le vittime, ancora non sappiamo quante sono e chi sono. A volte, quando salgo in metropolitana a Milano per andare in Università, mi viene alla mente che potrebbe succedere anche lì quello che è accaduto a Bruxelles. E mi guardo intorno, vedo sfilare persone che vanno al lavoro, mamme e papà che portano i bambini a scuola o li riaccompagnano a casa, giovani studenti delle scuole superiori e delle varie Università milanesi, anziani, gente di tutti i tipi e etnie. Lo stesso accade quando prendo l’aereo per andare da qualche parte. In quei momenti prego, non tanto per me, o forse anche per me, la paura gioca brutti scherzi, ma prego per i bambini e i giovani presenti.

Hanno la vita davanti, tante speranze, progetti. Il pensiero che possano essere stroncati da un’esplosione mi paralizza. Oggi, nelle trasmissioni televisive si susseguono interventi di vario tipo. Tutti parlano di sicurezza e delle responsabilità dell’Europa nella politica internazionale. Interventi meschini e di piccolo cabotaggio, si ripetono ogni volta, una gara a chi ha detto per primo che il pericolo terrorista esisteva. Magari scaricando il risentimento sui poveracci che scappano da guerre infami nelle quali abbiamo veramente delle responsabilità. C’è però una esperienza alla quale non siamo prepararti e che ci destabilizza, ed è quella degli attentati suicidi. Nella nostra storia abbiamo avuto martiri di fede cristiana, e li abbiamo anche oggi. Persone disposte a perdere la vita per rimanere fedele al Vangelo. Anche nella tradizione orientale, monaci o grandi anime che si immolano per resistere a coloro che vogliono soffocare la loro ricerca spirituale.

Abbiamo avuto anche uomini e donne che hanno imbracciato le armi per difendere la propria comunità religiosa da oppressioni di vario tipo. La novità è quella di persone che si fanno esplodere, non in solitudine, come dimostrazione massima di estraneità a una cultura ritenuta invivibile, ma cercando di far morire altri. Non sono attacchi suicidi, ma omicidi di massa, durante i quali non si guarda in faccia a nessuno e si immola la propria vita perché gli altri muoiano. Come dire, non si dona la vita per far ricordare agli altri che l’esistenza umana non può essere ridotta alla cultura del bisogno e del potere, ma per dire che il potere e il terrore porta con sé tutto, la vita del suicida e quella degli altri: bambini, giovani, donne, uomini, anziani, musulmani, cristiani… In sostanza ti si dice che l’unico modo per comprendere quello che vorrei comunicarti con il mio tragico gesto, è che tu muoia con me.

La cultura della morte è quella che non riesce più a trovare parole e gesti per esprimersi, ma si affida all’omicidio, mascherato da martirio, che non cerca comunicazione, ma soltanto la distruzione dell’altro. Non siamo di fronte al martirio, ma alla vigliaccheria di chi non riesce a morire da solo per ciò in cui crede. Non so come la pensino in ambienti diversi dal cristianesimo, non so che ne pensino sociologi o esperti della materia. Certo far morire gli altri per le proprie convinzioni è qualcosa che fa rabbrividire e che non è giustificato da niente, nemmeno dalla povertà di idee e di umanità della comunità occidentale tutta. Una comunità estenuata e esangue, certo, che tuttavia avrebbe bisogno di una iniezione di umanità, non dell’esaltazione della morte provocata, anche quando colui che uccide muore a sua volta. Non c’è autenticità in questi gesti, solo disperazione che non che non ha futuro e non costruisce nuova civiltà.

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